Lavoro festivo fra diritti e consumo

In vicinanza delle festività torna alla ribalta il tema degli esercizi commerciali aperti nelle domeniche e nei giorni festivi.
Non ci interessa la proposta Di Maio (M5S) che, sostanzialmente, lascia immutato il famigerato decreto salva Italia varato dal governo Monti – ma imposto dall’Europa nella famosa lettere degli 11 punti inviata da Trichet e Draghi nel settembre 2011 – in quanto si limita alla chiusura di sole 6 festività su 12 lasciando le aperture domenicali che sono 52.
Preme ricordare un dato: il salva Italia doveva servire a rilanciare il settore del commercio ma i dati Istat ci dicono che in questi anni sono calati, fatturato e numero di imprese mentre l’occupazione è calata di oltre 220.000 unità.
Allora forse è opportuno prendere atto del fallimento (dal punto d vista della economico) della liberalizzazione del commercio e affrontare il problema che sappia rispondere alla devastazione dei diritti e della concezione di cittadino che il salva Italia ha e sta generando.
Partiamo dal dato che la nostra Costituzione, uscita anche rafforzata dal voto del 4 dicembre 2016, dice che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e non sul commercio e che il diritto al riposo settimanale ed alle ferie retribuite sottolineando che il lavoratore “non può rinunziarvi”.
Questi diritti previsti dalla Costituzione devono essere garantiti in quanto anche se cambia il mercato il nostro organismo resta lo stesso, con un benessere psico-fisico da preservare, sia rispetto alla salute, sia rispetto al tempo libero, che si deve poter godere anche con la propria famiglia.
Ma molti obiettano che altri lavoratori (ristoranti, ospedali, ecc) lavorano la domenica ed i festivi dimenticando, volutamente, che questi lavoratori svolgono un’attività essenziale per garantire la tutela del diritto alla salute e alla pubblica incolumità, cioè diritti fondamentali, sul piano individuale e collettivo come quello intrattenimento e dello svago.
Per questo ritengo sbagliati questi accostamenti che tendono non solo a sopprimere il diritto al riposo domenicale dei lavoratori ma, in nome del consumo, tendono a trasformare i cittadini in consumatori e quindi modificare sul campo il diritto costituzionale sostituendolo con un presunto diritto dei consumatori.
Questa trasformazione culturale è già in atto e forse dovrebbe trovare la dovuta attenzione non solo nelle organizzazioni sindacali, nella politica e nelle istituzioni ma anche a livello di singolo cittadino.
L’apertura dei centri commerciali presuppone un cambiamento sociale dove una classe di lavoratori non conosce i diritti tradizionali in quanto soggetti all’esigenza del consumo e questo meccanismo fa slittare il dritto dal lavoratore al consumatore.
Una china pericolosa che ha visto protagonisti i sindacati confederali i quali davanti a questa trasformazione sociale anziché affrontare, anche sul versante culturale, questi mutamenti dei tempi di lavoro e dei tempi commerciali per garantire condizioni di lavoro accettabili, con orari umani e dignitosi per i lavoratori, si sono limitati a proporre politiche di compensazione accettando nei fatti il lavoro domenicale e festivo nel settore del commercio come dato immutabile.
E questa situazione riguarda anche noi tutti in quanto dobbiamo prendere coscienza che entrando, nei giorni festivi o la domenica, in un centro commerciale non solo ci trasformiamo in consumatori ma obblighiamo altri lavoratori a rinunciare alla pienezza dei loro diritti.
Dobbiamo sapere che questa logica consumistica, di cui siamo complici inconsapevoli, è il grimaldello che le multinazionali usano per cancellare diritti e conquiste fondamentali sul e nel lavoro in quanto il lavoratore viene trasformato, da soggetto giuridico e portatore di diritti, a semplice bene da mettere sul mercato.
Così come la riduzione del tempo di consegna di Amazon ricade sulle condizioni dei lavoratori della logistica il licenziamento ingiusto deve essere possibile e monetizzabile. Il Il licenziamento diviene così un costo da mettere in bilancio e non un evento drammatico che influisce sulla vita di lavoratori e cittadini.
La vicenda dei licenziamenti Sait conferma che la monetizzazione dei diritti è stata introitata dalle confederazioni sindacali facendo pagare ai lavoratori un prezzo altissimo.
La logica che sottende le aperture domenicali sono infatti il grimaldello del mercato per rendere il lavoro più flessibile, precario e sottopagato ed i lavoratori meno tutelati anche sul versante sociale, previdenziale e dei diritti universali.
USB lotta per contrastare questa logica aberrante
Con questa mia riflessione auguro a tutti voi di passare le festività con i vostri cari.
Ezio Casagranda
USB Trentino

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Un commento

  • Saiani Aldo

    Purtroppo la mutazione antropologica è già avvenuta.
    Non ci sono più cittadini liberi e consapevoli, ne’ lavoratori che difendano la propria dignita’, ma una massa informe di CONSUMATORI, schiavi del DIO DENARO e del Mercato.

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