Acqua pubblica e servizi pubblici locali
Molti partiti e gruppi che fanno parte del consiglio comunale di Trento sono rimasti sorpresi quando pochi giorni fa hanno visto un centinaio di persone accalcarsi fuori dalla sede dell’assemblea comunale per difendere le proprie idee. Non sono più abituati al confronto con chi rappresentano; dominano solo i piccoli interessi di bottega e le garanzie da dare ai potentati locali. Il referendum abrogativo di giugno ha chiaramente ed inequivocabilmente sancito la volontà popolare di dare un freno alla privatizzazione dei servizi pubblici, in particolare il servizio idrico integrato, ma in provincia di Trento l’abitudine all’elitarismo politico la fa ancora da padrone.
Non ci stupiamo certamente della reazione di alcuni consiglieri comunali che nervosamente hanno dovuto ammettere che chi si batte per il vero controllo pubblico dell’acqua senza fini di lucro ha ragione e non solo in linea di principio; altrettanto non ci stupiamo delle giustificazioni che questi hanno dovuto dare per difendere una posizione, quella della società di capitali pubblica, che non si differenzia dai fini di fare profitto legati a qualunque società di capitali, sia essa pubblica o privata. Il secondo quesito referendario ha sancito inequivocabilmente che l’acqua non può essere oggetto di guadagno e quindi l’ipotesi della società di capitali politicamente è un pugno allo stomaco alle decine di migliaia di trentini che non vogliono sentire parlare di lucro sui servizi pubblici locali.
Le presunte difficoltà giuridiche legate ad infondati conflitti con la legislazione nazionale che avrebbero potuto ostacolare la ripubblicizzazione del ciclo dell’acqua sono crollate miseramente: la Provincia autonoma di Trento ha la possibilità, garantita dallo statuto di autonomia, di assumere la gestione diretta dei servizi pubblici locali. Quindi è tutta una questione di volontà politica e nient’altro. Per l’acqua così come per la gestione dei rifiuti o dei trasporti.
La proposta dell’azienda speciale sovracomunale avanzata da alcuni partiti e dal comitato per l’acqua bene comune va nell’ottica di una gestione oculata dei servizi pubblici: c’è l’obbligo del pareggio di bilancio con la possibilità di utilizzare anche altre risorse pubbliche per abbassare i prezzi e per garantire una quantitativo minimo gratuito di acqua a tutti i cittadini; gli indirizzi programmatici e il bilancio dell’azienda sono controllati e votati dai consigli comunali che aderiscono all’azienda speciale, assumendo quindi un controllo politico sicuramente migliore rispetto a quello che si ha nei confronti delle scatole cinesi delle società pubbliche dove spesso vengono assunti amministratori con ampie deleghe di potere, esecutori delle logiche di mercato e che quindi si devono solo preoccupare di garantire la redditività dell’impresa. Le società di capitali ragionano solo in termini di utile e quindi è impensabile una diminuzione del costo del servizio perché questa comporta una diminuzione di profitto e un ammortamento degli investimenti oneroso.
L’esperienza documentata dimostra chiaramente che laddove esiste una gestione diretta del servizio idrico il risparmio sul costo del servizio c’è ed è sostanzioso: nel decennio 2001-2009 la tariffa per l’utilizzo dell’acqua per usi civili (acquedotto, fognature e depurazione) era più bassa negli enti che gestivano il servizio idrico in economia ed ancora più basso per l’unica azienda speciale presente in Trentino, quella di Tione di Trento. Mediamente il costo del servizio idrico delle società, in house o miste e anche Dolomiti Reti s.p.a. (controllata da Dolomiti Energia) superava di circa il 15-20% il costo del servizio idrico gestito in economia o con azienda speciale. Per quanto riguarda la sola tariffa dell’acquedotto la differenza è ancora maggiore: nel 2001 il costo della gestione dell’acquedotto costava circa il 50% in più della gestione in economia o con aziende speciali; nel 2009 la differenza era di circa il 34-48%. Anche in questo caso l’azienda speciale era il soggetto che aveva la tariffa minore. Il sindaco Andreatta, quello di Rovereto Miorandi e l’assessore provinciale Pacher ignorano questi dati?
Scorporare la gestione dei servizi pubblici da Dolomiti Energia è doveroso ma non capiamo perché il Comune di Trento debba rifondere quarantadue milioni di euro ai vari azionisti – tra i quali Marangoni, Caritro e curia trentina – per riprendersi la proprietà della rete idrica dopo averla regalata più di quindici anni fa alla classe imprenditoriale laica e cattolica. Questi soggetti hanno lucrato per anni sui servizi pubblici e quindi sui nostri diritti. Dovremmo pure indennizzarli?
Dolomiti Energia gestisce anche altri servizi pubblici come l’erogazione dell’energia elettrica, del gas e il ciclo dei rifiuti. Perché non possiamo pretendere di avere un controllo pubblico su questi servizi? Perché non possiamo pretendere che il privato stia fuori dalla gestione dei servizi pubblici? Crediamo ancora alla favola che la gestione privata, sponsorizzata da una certa classe politica che ha contribuito attivamente al depauperamento della qualità e dei finanziamenti dei servizi pubblici per giustificare il sostegno dell’imprenditoria, migliori la qualità dei servizi e ne abbassi i costi? Negli ultimi quindici anni l’unico settore che ha visto una diminuzione delle tariffe è stato quello della telefonia con ricadute negativissime sull’occupazione e con profitti elevatissimi per la grande borghesia italiana (Tronchetti Provera, Benetton, Pirelli, Unipol); gli altri settori hanno visto schizzare i costi verso l’alto a beneficio di imprenditori che non essendo dei benefattori ma curatori dei propri interessi ne hanno tratto reddito a discapito dei cittadini.
La rabbia e il disagio sociale aumentano con il perdurare e l’aggravarsi della crisi e con le prevaricazioni delle istituzioni pubbliche che si ergono a difesa degli interessi economici della classe padronale. Ormai anche il Trentino ne fa le spese. La pressione popolare inevitabilmente crescerà nel prossimo futuro per rivendicare condizioni di vita migliori. Il Partito della Rifondazione comunista difende chi lotta per un futuro migliore, consapevole che l’esperienza per la lotta contro la privatizzazione dei servizi pubblici è solo una parte del problema.
Il sistema capitalista diffonde i suoi tentacoli ovunque vi è un’appropriazione privata della ricchezza sociale. Uniamo sotto un’unica bandiera le lotte per la difesa dei servizi pubblici con quella dei lavoratori delle aziende in crisi, con quella dei giovani che non hanno un lavoro perché per il capitalismo rappresentano solo un costo di bilancio, con quelle per la difesa dell’ambiente. L’alternativa al sistema capitalista passa da una presa di coscienza da parte delle persone che solo la socializzazione della ricchezza può impedirgli di distruggerci nel suo vortice. Solo una gestione collettiva della ricchezza ci farà riavere i nostri diritti e condizioni di vita migliori. E’ una lotta lunga e difficile ma che non è più rinviabile per nessuno perché saranno gli effetti della crisi a venirci a cercare. E’ la via per la rivoluzione proletaria socialista.
Mirko Sighel