25 aprile:ora e sempre resistenza

Cancellare le feste del 25 aprile, 1° maggio e 2 giugno significa riscrivere la storia dell’Italia. Non esiste infatti alcuna motivazione economica che giustifichi un simile provvedimento. Anzi, come sottolinea la Federalberghi, si tratterebbe dell’ennesima mazzata al comparto turistico e recettivo colpiti a morte dalla cancellazione delle vacanze brevi. La motivazione vera è il carattere reazionario e antinazionale di questo governo.
L’odio di classe ispira tutta la manovra economica ma anche i suoi “accessori” come la cancellazione dell’art.18, del contratto nazionale e delle festività che richiamano la storia migliore del nostro Paese. Il messaggio che arriva è chiaro: scordatevi ogni sentimento di liberazione, ogni dignità del lavoro, ogni pagina di riscatto popolare come fu l’esito del referendum tra monarchia e repubblica. Si torna al fascismo quando era proibito festeggiare la festa dei lavoratori e dove le uniche feste erano quelle concordate con la Chiesa nei Patti Lateranensi. Una sorta di Stato teocratico dove si festeggia l’Immacolata concezione ma non la guerra di liberazione dal nazifascismo.
Anni di tentativi di svuotare il 25 aprile del suo carattere fondante con l’equiparazione dei partigiani con i ragazzi di Salò e con la riscrittura dei libri di storia possono finalmente arrivare a compimento. La Resistenza è un ferrovecchio da mandare in soffitta con la Costituzione che ne è la legittima figlia. Non si vuole infatti abbattere alla radice la suprema Carta inserendo il vincolo del paraggio di bilancio e togliendo quello che condiziona la libertà d’impresa alla sua utilità sociale e al rispetto della dignità e della sicurezza delle persone?
Berlusconi e Tremonti mentono clamorosamente quando affermano che l’accorpamento alla domenica (poi diventata estinzione nella domenica) delle festività laiche sarebbe in linea con quanto avviene in Europa e negli altri paesi occidentali. Negli Usa o in Francia si scatenerebbe la rivoluzione se solo i loro governi si provassero ad accennare all’idea di cancellare il 4 o il 14 luglio! Il 1° maggio poi è una festa internazionale che fa del carattere di fratellanza universale tra i lavoratori e le lavoratrici di tutto il pianeta il suo messaggio fondante. Che senso avrebbe festeggiarlo domenica 4 o 5 maggio?
Ma allora perché palesemente mentire agli italiani, contando – almeno fino ad oggi a ragione – nella benevolenza dell’opposizione parlamentare e di chi, dal colle più alto di Roma, dovrebbe garantire invece i valori della Repubblica? La dittatura del mercato che si vuole costituzionalizzare ha bisogno di travolgere ogni riferimento alla dignità e all’equità sociale.
In un paese dove il 10% della popolazione detiene il 45% della ricchezza e lascia il 50% delle famiglie a sopravvivere con appena il 10% della ricchezza nazionale, dovrebbe essere la rimozione di questa colossale ingiustizia il tema centrale di ogni ricetta anticrisi.
Questa omissione, che fa scaricare la rabbia popolare su obiettivi di comodo come i giocatori super pagati o i costi della politica, lascia intatte nella propria opulenza e voracità le caste dei banchieri, degli speculatori e dei padroni; mentre massacra il lavoro dipendente strangolandolo con salari da fame e con un numero di ore di lavoro superiore a quello dei giapponesi e dei tedeschi. C’è una ingiustizia da nascondere e perpetuare. L’esatto opposto di quello che insegnano le tre date che si vuole cancellare dal calendario.
di Alfio Nicotra
dal giornale Liberazione del 18 agosto 2011

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