Vicenza: in piazza contro la guerra e la nato.
Oggi 12 marzo 2016 in oltre 35 città italiane sono scese in piazza cittadini, lavoratori, giovani pensionati e associazioni per dire No alla Guerra e per chiedere che l’Italia esca dalla Nato.
A Vicenza, dopo un presidio davanti alla caserma Ederle simbolo della sudditanza italiana al governo americano i manifestanti si sono recati con un lungo corteo di macchine davanti allo studentato di Vicenza per distribuire volantini informativi contro la guerra e per chiedere che l’Italia non entri in guerra e faccia rientrare tutte le “ missioni di pace” che altro non sono che missioni di guerra a difesa degli interessi imperialistici americani e della multinazionali.
Gli interventi al microfono hanno denunciato l’escalation della guerra sia a est (in Siria, in Iraq e nelle regioni del Donbass) sia a sud, in Libia. Ed è proprio lo scenario libico quello che i manifestanti hanno denunciato con forza mentre l’Italia si appresta a essere capofila di questo intervento militare.
Non minore inquietudine desta l’ulteriore allargamento della Nato al Montenegro anche in Italia, Paese in cui sono presenti 113 basi Usa.
E’ ora di gridare con forza che siamo contro ogni guerra, di pretendere la chiusura delle basi Nato nel nostro paese, la forte riduzione delle spese militari a vantaggio delle spese sociali, oggi fortemente messe in discussione da un’austerità.
“No alle spese militare e più case popolari” recitava uno dei tanti striscioni che hanno colorato i vari cortei contro la guerra.
Non ci sono guerre giuste o guerre umanitarie. Le guerre servono solo per aumentare i profitti dei padroni e dei potenti e per schiacciare ogni forma di emancipazione sociale dei popoli.
Per Questo oggi siamo scesi nelle piazze italiane contro ogni forma di guerra.
Infine una nota di colore: la mobilitazione delle forze dell’Ordine e l’assenza dei principali media, forse, questi ultimi, troppo impegnati nel seguire i gazebi delle primarie piddine e del berlusca per occuparsi di quanti si oppongono alla guerra.
Ezio Casagranda
“Toute la vie des sociétès dans lesquelles régnent les conditions modernes de production s’annonce comme une immense accumulation de spectacles.
Tout ce qui ètait directement vécu s’est èloignè dans une reprèsentation.
(Guy Debord)*
LA SOCIETA’ DELLO SPETTACOLO MERCIFICA E BANALIZZA TUTTO (O ALMENO CI PROVA), MA CON LE DONNE CURDE NON SEMBRA TANTO FACILE…
(Gianni Sartori)
Chi avesse incautamente seguito la trasmissione “Alle falde del Kilimangiaro” (e qui verrebbe spontaneo un bel “paraponziponzipò…”, alla Vianello) del 6 marzo avrebbe potuto assistere ad una incredibile messa in scena, un’opera di mistificazione, un concentrato di banalità e luoghi comuni degni del peggior monoblocco mentale (definizione popolare del “pensiero unico”) mai concepito dalla Società dello Spettacolo.
Debordianamente, quella in cui “il vero è un momento del falso”.
La conduttrice Camilla Raznovich presentava il libro dell’economista Loretta Napoleoni sulle donne nell’Isis. Maldestramente però associava questo argomento a foto e immagini dell’attività’ di difesa, di territori e popolazioni, da parte delle donne curde combattenti in Rojava proprio contro le milizie del Daesh.
Confondendo temi e contenuti (e anche, in un certo senso, vittime e carnefici) e disinformando in merito al reale svolgimento delle azioni perseguite da più di due anni dalle combattenti curde dell’ Ypj (unita’ di difesa delle donne) in Rojava.
Sia il montaggio fotografico che il contenuto dell’intervista evidenziano una totale impreparazione (escludiamo pure la malafede) nel trattare l’argomento. Confondere il terrorismo con la difesa delle popolazioni da parte delle donne curde Ypj (arrivando a dire: “la donna combattente rappresenta l’altra faccia della stessa medaglia del terrorismo” mentre contemporaneamente andavano in sovrimpressione le fotografie delle donne combattenti curde) costituisce un esempio di disinformazione assoluta e una mancanza di rispetto, oltre che per le donne curde, per gli utenti del servizio pubblico.
Parlare di “sciattezza intellettuale ed errata informazione” è stato, da parte di UIKI Onlus (Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia), solamente un educato e moderato eufemismo. Si sarebbe potuto dire molto, ma molto, di peggio.
Come se non bastasse, si rasentava l’infamia evocando il “ratto delle sabine” (presentate come donne sedotte e non vittime di stupro) per parlare delle donne rapite, violentate, in molti casi ammazzate, dai fascisti di Daesh.
Un velo pietoso poi sulla congenita abitudine eurocentrica di trattare i popoli del resto del mondo come “arretrati” e parlare di emancipazione femminile e lotta per l’uguaglianza come prerogativa dell’Occidente, cancellando di colpo la democrazia paritaria e l’uguaglianza di genere in atto da oltre un decennio tra i curdi (sia in Rojava che nel sud-est della Turchia)
Daria Bignardi (direzione di RAI3) si è già scusata pubblicamente, a nome del programma, con i rappresentanti curdi e avrebbe richiesto una “relazione approfondita” sull’autogol televisivo, ma l’episodio rimane comunque un fatto gravissimo e va stigmatizzato.
Gianni Sartori
* “Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione”
(Guy Debord)