Dalla Marangoni alla Dana….

marangoni2Dalla Marangoni alla Dana, dalla Luxottica alla Cartiera di Riva ed all’Aquafil, una sola voce … paghino gli operai!

A livello nazionale è cronaca di questi giorni la vicenda Elettrolux che minaccia di ridurre la produzione in Italia e che vorrebbe scaricare il costo del lavoro troppo alto riducendo gli stipendi degli operai.
In linea con quanto avviene nel resto dell’Italia anche nel Trentino lo scenario è quello di un offensiva padronale che si allarga sempre di più coinvolgendo decine di fabbriche. Poche settimane prima della Marangoni era la volta della Dana che avanzava la pretesa di arrivare alla decurtazione dei salari. L’attacco questa volta mira alla violazione dei contratti vigenti con lo scopo di affermare come perno centrale della contrattazione gli accordi (peggiorativi) in ambito aziendale.
E’ questa una strada che è stata aperta da anni di complicità e collaborazionismo dei sindacati confederali CGIL, CISL e UIL culminati negli accordi con Confindustria del 28 giugno 2011 e peggiorati ulteriormente da quelli del 10 gennaio 2014. E’ stata infatti sancita la possibilità di modificare in peggio, e quindi di violare, la legislazione del lavoro ed i contratti nazionali ed integrativi già stipulati, a fronte di semplici accordi in sede aziendale. Una conseguenza, tra le altre, è che i lavoratori si ritrovano così a dover affrontare l’offensiva padronale in una condizione di grande frammentazione rimanendo isolati nella propria fabbrica o nella propria situazione di lotta.
L’articolazione capillare dell’offensiva padronale, in provincia e nel resto d’Italia, va vista come un complesso di aspetti della stessa medaglia. Crisi, tasse, riduzione dei profitti, assenteismo… qualsiasi sia la scusa adottata dagli imprenditori la ricetta è sempre la stessa! A pagare devono essere i dipendenti che appartengono agli strati popolari e in particolare gli operai.
Se nei decenni scorsi era evidente per tutti che aprire un’azienda, produrre innovazione e trarne un profitto comportava anche dei rischi, investimenti e la possibilità di usufruire di servizi ma a carico delle associazioni d’impresa, oggi si stanno teorizzando e praticando principi che potremmo definire eversivi dei principi costituzionali. Per i padroni, i costi d’impresa vanno pagati dagli operai e dalla collettività, i profitti devono essere interamente incamerati dal padronato e infine è giusto mettere in pratica tutto il possibile per incamerare le tasse. Infatti, anche se non lo dice nessuno, le tasse che, secondo l’ordinaria contabilità, risultano a carico dell’imprenditore sono in realtà già pagate dagli operai di tasca propria con la componente, largamente preponderante rispetto al salario, di lavoro -non retribuito- aggiunto alle merci dallo stesso operaio durante la produzione. La conseguenza è che quando i padroni, insieme ai loro amici forconi, vogliono ridurre le tasse sul costo del lavoro non fanno altro che pretendere di impossessarsi di un ulteriore quota di profitto.
Quando si tratta di marketing, premi e onoreficenze internazionali allora le imprese vanno a gonfie vele, ci si vanta del made in Italy, si pretende che la politica si metta al proprio servizio, anche con missioni all’estero, per aprire mercati e opportunità di business. Ma quando si tratta di fare il proprio mestiere, rinnovando macchinari “datati, investendo in ricerca e applicando contratti nazionali già concordati allora si descrivono scenari apocalittici, si prospetta la fine della produzione, l’abbandono dell’Italia a favore di paesi “più competitivi”, si pretendono soldi e servizi, a spese della collettività e per qualsiasi cosa, minacciando ritorsioni nei confronti dei mezzi di sussistenza dei lavoratori se non vengono accettate le proprie condizioni.
A fronte della contrazione del numero delle maestranze operaie aumentano invece gli strati impiegatizi e manageriali. Invece di dedicarsi completamente alla produzione di beni e servizi reali diventa sempre più importante l’aspetto parassitario del mercato. Al primo posto vengono sempre più lo spostamento degli investimenti sulle attività finanziarie, la terziarizzazione (con meno operai e con più dirigenti, impiegati e tecnici) dell’industria, i raggruppamenti d’impresa, gli spin-off i repentini cambi di ragione sociale, l’apertura di controllate e la loro chiusura.
Operazioni che spesso sono addirittura sponsorizzate, come nel caso del Trentino con Olivi, dalle istituzioni che elargiscono soldi a piene mani senza alcuna possibilità e volontà di controllarne ed imporne l’effettivo impiego negli investimenti produttivi. Mentre nello stesso tempo vengono spacciate dai sindacati confederali come sintomi di vitalità, produttività e crescita mentre non sono altro che gli aspetti più decrepiti della produzione nel nostro paese.
L’attacco che la classe padronale sta portando avanti oggi non è solo alle buste paga o ai posti di lavoro degli operai e dei piccoli impiegati ma a dei principi fondanti del vivere civile.
Si vuole una politica e si vuole uno stato ancora di più al proprio servizio pretendendo da un lato ulteriori contributi e dall’altro che i soldi per le tasse vengano ulteriormente prelevati dalle buste paga.
Assessori, sindacati confederali e padronato si incontrano in continuazione ma lo fanno alle spalle dei lavoratori che sono i diretti interessati e che devono porsi il problema di prendere in mano i loro interessi senza delegarli a questi attori della stessa tragedia.
Oggi difendere il salario ed il proprio posto di lavoro significa organizzarsi autonomamente e riunificare la resistenza, l’opposizione e la lotta in corso, in una forma o nell’altra , nelle diverse situazioni. Soprattutto è necessario non fidarsi dei sindacati confederali che sempre si sono rivelati come i veri cavalli di troia delle pretese governative, padronali aziendali e che oggi, anche a livello provinciale, alla Marangoni come alla Dana, si preparano a imbrogliare gli operai, ad assoggettarli ai ricatti padronali ed a sottoscrivere accordi derogativi e peggiorativi, come già fatto pochi mesi fa alla Cartiera di Varone o all’Aquafil di Arco ed in altre fabbriche della provincia.
Nel Trentino il sindacalismo di base ed autorganizzato si sta diffondendo e rafforzando diventando un’alternativa credibile e praticabile per i lavoratori. Lo Slai Cobas è già presente alla Dana di Rovereto e di Arco, alla Malgara ed in altre situazioni. Dove è presente si batte inflessibilmente per i diritti dei lavoratori, senza farsi corrompere e pronto, quando necessario, a contrastare, smascherare ed incalzare il sindacalismo confederale. Più forti e numerosi saranno gli slai cobas operai e meno possibilità di manovra e di fare danni avranno padroni, istituzioni e sindacati confederali.

Sindacato dei lavoratori autorganizzati intercategoriale Provincia di Trento
SLAI COBAS del TRENTINO
slaicobastrentino@gmail.com

cell. 3482448231

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