Dana Arco. Non è tutto oro …..
I contributi provinciali per la nuova società Dana-Bosch di ricerca e realizzazione di prodotti ad alta tecnologia vengono sbandierati tra l’altro come una garanzia per il mantenimento nei prossimi anni del numero degli attuali occupati nello stabilimento Dana a cui anzi andrebbero ad aggiungersi entro il 2021 altri 67 dipendenti.
Considerata l’alta percentuale di personale dirigenziale, amministrativo ed impiegatizio, già impiegato alle dipendenze della Dana e considerando che le 67 nuove unità previste consistono in ingegneri e ricercatori, i contributi provinciali non prevedono e non garantiscono affatto che verrà mantenuto lo stesso numero di operai già occupati, anzi il regalo rappresentato dai nuovi soldi pubblici rafforza la tendenza alla terziarizzazione della stessa Dana con riduzione progressiva della percentuale dei lavoratori direttamente impiegati nella produzione.
Non c’è solo da rilevare come con il concetto di occupazione non si distingua nemmeno più tra l’oneroso impiego dei lavoratori privilegiati dei servizi ad alta tecnologia e gli appartenenti alla classe operaia; c’è anche da registrare il vergognoso paradosso per cui ormai si regalano, dietro le proficue dichiarazioni pre-elettorali sulla salvaguardia dell’occupazione e della prevenzione dei processi di delocalizzazione, soldi pubblici non più solo alle cosiddette imprese in crisi, ma anche a quelle che, appunto come la Dana e la Bosh, paiono procedere a gonfie vele.
Non è un caso che tutto questo, per altro avallato dalla Fiom e dagli altri sindacati confederali, si accompagni ad una situazione di fatto vigente alla Dana in cui aumentano continuamente i ritmi di lavoro ed in cui si registrano continue contestazioni disciplinari e vessazioni ai danni dei lavoratori.
La terziarizzazione industriale della Dana non si traduce in carichi di lavoro ed in condizioni più umane, ma all’opposto nella messa in atto di tutti i procedimenti utili all’aumento della coercizione sui lavoratori al fine di garantire ulteriori incrementi dei profitti. Un clima da caserma, in cui non viene nemmeno salvaguardata realmente la salute dei lavoratori, di cui, a livello istituzionale, nessuno parla per evitare di danneggiare l’immagine della Dana rivelando la realtà che esiste al suo interno per gli occupati operai.
Il tutto è peraltro esemplificato dalla pesante vicenda, a cui daremo adeguato seguito sul piano legale e sindacale, che sta vivendo il responsabile Slai Cobas della RSU della Dana di Arco, unica vera presenza sindacale in fabbrica. Spostato dal suo posto di lavoro a contatto con i lavoratori è stato relegato su un singolo macchinario a svolgere pesanti lavorazioni incompatibili con il suo stato di salute.
A questo vanno aggiunte anche le prime udienze a novembre di due cause di operai che ritengono di aver subito ingiustificate vessazioni da parte dell’azienda.
Sergio Mattiello RSU Slai Cobas Dana ARCO