Davanti al padrone non ci si toglie il cappello
Marcia dei berretti rossi, USB: così i braccianti rialzano la testa e l’Italia riscopre la vera pratica sindacale
Dietro la riuscita eccezionale dello sciopero generale dei braccianti del Foggiano e della combattiva marcia dei berretti rossi ci sono parecchi fatti sindacali e politici rilevanti. Certo il detonatore è stata, purtroppo, l’allucinante sequenza che ha visto nel giro di poche ore morire 16 braccianti in due incidenti (infortuni in itinere) mentre tornavano dai campi. Ma la condizione di sfruttamento giunta a livelli impressionanti di vera e propria schiavitù che si è finalmente imposta all’attenzione generale non è fatto dell’oggi né sconosciuto, se non forse nella sua consistenza e diffusione.
Il fatto nuovo è che per la prima volta dopo decenni quei braccianti hanno risposto alzando la testa e incrociando le braccia. E così facendo, e marciando verso il Palazzo di Governo, hanno costretto tutti a smettere di voltarsi dall’altra parte.
Hanno costretto ad esempio quei sindacati – grandi solo nei numeri e dimentichi della lezione di Di Vittorio, di come si sta fra la gente e di come se ne difendono gli interessi – a una grottesca rincorsa organizzando una loro manifestazione, in visibile contrappunto a quella di USB.
Hanno costretto la stampa, anche quella molto vicina a chi quel disastro sociale non ha voluto affrontare negli anni in cui era al governo, a guardare in faccia la realtà e, forse ad interrogarsi su come sia stato possibile a USB riuscire a costruire in poche ore una mobilitazione cosi partecipata e vera. Incredibilmente se lo sta chiedendo anche tutta la stampa estera più qualificata.
Hanno costretto la Regione e i rappresentanti del governo a lasciar perdere il burocratese e a discutere, finalmente davvero, con i braccianti e chi li rappresenta, non solo della drammaticità dell’oggi ma anche dei profondi mutamenti contrattuali e sociali necessari a cambiare strutturalmente quella situazione dando una disponibilità al confronto e all’azione che speriamo sia concreta, a partire dalla promessa partecipazione del ministro Centinaio all’assemblea nazionale USB del 22 settembre proprio a Foggia nella quale saranno illustrate la nostra piattaforma e le nostre proposte per il lavoro agricolo.
Hanno costretto molti, non tutti per la verità, a riporre l’arma spuntata e abusata dell’individuare nel fenomeno del caporalato l’unico responsabile di quanto accade in quei campi e a scoprire le responsabilità, enormi e non più ignorabili, delle aziende che quei braccianti ogni giorno ingaggiano per pagarli forse meno di un centesimo a chilogrammo di pomodori.
Hanno fatto emergere la catena del valore che parte da quei campi e arriva sulle nostre tavole attraverso processi di trasformazione e lavorazione del raccolto, la sua vendita in aste al massimo ribasso governate dalla grande distribuzione organizzata, attraverso la corsa dei mezzi della logistica i cui lavoratori sono forse, per sfruttamento, secondi solo ai braccianti, a una rete commerciale sempre più regolata dagli interessi delle grandi multinazionali che fanno cartello per costringere ogni giorno di più ad abbassare i prezzi al consumo, riversandone gli effetti sugli ultimi di questa catena del valore, i braccianti. Una filiera dello sfruttamento organizzato e standardizzato che poggia sulla fatica di uomini e donne ai quali non vengono riconosciuti i minimi diritti sindacali e sociali.
E allora questo 8 agosto del 2018 va oltre il valore in sé di una manifestazione e di uno sciopero di lavoratori, segna una profonda distanza e soprattutto una profonda rottura con quel modello di relazioni, nel conflitto tra capitale e lavoro, che certa area sedicente progressista, politica e sindacale, aveva fatto credere per decenni l’unico possibile, quello di inchinarsi ai voleri del padrone e di cercare soltanto di mitigarne gli effetti, senza tra l’altro in alcun modo riuscirci. I braccianti, sempre loro, hanno invece riscoperto la giusta pratica, che non deve valere solo per loro: davanti al padrone non ci si toglie il cappello.
Unione Sindacale di Base – Nazionale
Mentre il compagno Aboubakar Soumahoro nel suo intervento durante la manifestazione di Foggia, ha ricordato Macinelle ed i morti da sfruttamento della forza lavoro-migrante come avviene oggi nelle campagne del foggiano, il ministro Di Maio, dice che Marcinelle ci insegna che “non bisogna emigrare”.
Semplicemente vergognoso come un ministro possa dimenticare che si sta parlando della vita di tante persone immigrate in Italia e di tante ragazze e ragazzi che continuano a emigrare dall’Italia.