Dirigismo economico e autoritarismo politico
Nel suo libro dal titolo “Shock economy” Naomi Klain descrive con acuta precisione le “trappole” usate nei vari paesi dal potere economico finanziario per sconfiggere ogni opposizione sociale e politica ai loro disegni di rapina dei beni comuni.
Il filo conduttore di ogni intervento di ogni intervento, proposto dagli economisti di Chicago i cosiddetti figli di Milton Friedman, era quello di creare uno shock economico da usare come una clava per smantellare diritti, e stato sociale e zittire ogni critica
Ancora nel novembre scroso ho avuto modo di scrivere che alcune esagerazioni sul debito, sullo spread e l’allarmismo “default” rispondeva alla “.. logica della shock economy, che viene utilizzata per cambiare radicalmente il sistema paese spazzando via diritti, culture, ed esistenze per fare spazio ad un liberismo ancora più esasperato”.
Oggi, dopo due mesi di governo Monti sono sempre più convinto che l’operazione messa in atto da Napolitano nel novembre 2011 con la costruzione del governo Monti, sia stata una vera e propria operazione di shock economy a direzione Goldman Sachs.
Riforma delle pensioni, interventi da macelleria sociale, privatizzazioni dei beni comuni, difesa dei poteri forti, dalle banche alle grandi ricchezze ed ora l’attacco all’articolo 18 sono stati possibili perché lo shock del debito ha annichilito ogni opposizione.
Sulla trattativa del mercato del lavoro la Uil si è detta disponibile ad accettare la proposta del governo di introdurre i licenziamenti individuali per motivi economici. Una vera contraddizione (io parlerei di presa per i fondelli delle persone intelligenti) in termini in quanto un’azienda di 100/200 dipendenti non risolve i suoi problemi economici licenziano un singolo lavoratore.
Sull’articolo 18 quella del governo è una scelta politica inzuppata di ideologia neoliberista alla Milton Friedman (grande guru del capitalismo sfrenato e senza regole).
La sua abrogazione non rilancerà l’occupazione, non aiuterà la crescita ma servirà ai vari marchionne ( e in Confindustria sono tanti, compresa in quella trentina) per espellere dalle proprie aziende ogni forma di dissenso anche se non organizzato in un sindacato.
Fornero e Monti si sono mai chiesti i motivi per cui il sindacato non esista nelle aziende con meno di 15 dipendenti? La risposta è semplice e allo stesso tempo drammatica. Infatti in queste realtà se un lavoratore vuole organizzarsi per difendere i propri diritti, pretendere l’applicazione delle norme contrattuali e/o di legge (vedi maternità) viene immediatamente allontanato (licenziato) dall’azienda. Qualche mensilità di risarcimento non pagano la dignità cancellata da una prepotenza padronale.
In fabbrica, come nella società siamo davanti ad una sospensione della democrazia che non riguarda solo il fatto che questo governo non è stato eletto dai cittadini ma che il suo operare va nella direzione di ridurre gli spazi di democrazia in fabbrica, cancella il voto popolare sui beni comuni del giugno scorso e procede allo strangolamento economico delle piccole testate giornalistiche come IL MANIFESTO.
E’ di oggi la notizia che il giornale IL MANIFESTO è stato sottoposto a liquidazione coatta amministrativa da parte del ministero dello sviluppo. Monti, nonostante gli impegni presi da Napolitano, ha portato a compimento l’operazione Tremonti di cancellare ogni voce libera che potesse sfuggire alle logiche del mercato.
In pochi mesi, Monti è riuscito la dove Berlusconi, Sacconi e Tremonti, nonostante 17 anni di governo hanno fallito. Smantellare le pensioni, privatizzare tutto quello che è privatizzabile, soffocare il pluralismo, marginalizzare la democrazia e procedere alla cancellazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Questa politica da macelleria sociale, come ci insegna la Grecia, non ci farà uscire dalla crisi ma ci porterà in un sistema politico economico come quello vigente in Cina. Compressione dei salari e dei diritti, riduzione degli spazi di democrazia, soffocamento delle libertà costituzionali, dirigismo economico e autoritarismo politico.
Ezio Casagranda