Domeniche:La nostra lotta non si ferma il 27
Oggi sul Vostro giornale ho letto la lettera del lavoratore del commercio Dino Papi che denunciava le problematiche dei lavoratori del commercio rispetto alle aperture domenicali e chiedeva “… ai nostri cari politici locali piace riempirsi la bocca con paroloni quali «autonomia» e «modello Trentino» che non si ispirano mai però a quelli di Paesi che veramente mettono al centro del progetto il benessere delle famiglie e sono Paesi a noi molto vicini, alcuni confinanti. Vorrei sapere da loro chi si schiera apertamente in favore della nostra «battaglia» anche in vista delle imminenti elezioni provinciali. A queste persone potremmo anche pensare di accordare la nostra preferenza…”
Come candidato presidente della lista di Rifondazione Comunista non solo mi riconosco pienamente nelle considerazione di Dino in quanto da sempre mi sono opposto, prima come sindacalista e poi come semplice cittadino alle aperture domenicali.
Condivido anche le valutazioni sulla spesa domenicale e sul fatto che il lavoro nel commercio non può essere paragonato ad altre attività ritenute indispensabili. Infatti il commercio attualmente offre un servizio di apertura al pubblico (esclusa la domenica) di almeno 66 ore settimanali (11 ore x6 giorni) a fronte di altri servizi, ben più importanti come le banche, poste, servizi comunali, laboratori di analisi dove l’apertura al pubblico non supera le 40 ore (spesso dal lunedì al venerdì);
La politica neoliberista, fatta propria da Monti e dallo stesso Olivi hanno portato alle aperture domenicali che oltre ai lavoratori dipendenti penalizzano i piccoli negozi, costringendo imprenditori e lavoratori a sacrificare valori importanti come la famiglia. Per questo noi ci battiamo per avere un futuro a misura uomo dove il commercio ritorna alla sua dimensione che ha garantito crescita e sviluppo al nostro territorio.
Noi da sempre contrastiamo questa società consumistica che succhia la vita delle persone rendendole dipendenti di consumi, sempre più voluttuari a scapito dei consumi collettivi come la socializzazione, la cultura, la felicità di vivere l’ambiente naturale, le montagne, la bellezza dei parchi e dei giochi all’aperto.
La politica deve capire che dare vivibilità alla città non può significare shopping sfrenato ma costruzione da parte del comune di eventi culturali, ricreativi, musicali, di luoghi di ritrovo, di spazi per i giovani, di servizi al cittadino ed al turista, significa parchi aperti e sicuri, insomma significa dare una nuova dimensione alla città che risponda alle esigenze del cittadino e non agli interessi delle multinazionali del commercio.
Infine invito i lavoratori del commercio a non farsi incantare dalle sirene elettoralistiche e valutare i vari candidati non dalle loro promesse ma dal loro vissuto rispetto al lavoro domenicale nel settore del commercio prima di accordare la preferenza sulla scheda elettorale.
Ezio Casagranda