“Il Partito del Pil” unito contro il salario minimo

di Giorgio Cremaschi.
Una legge sul salario minimo ci vuole ed è giusta. Nell’epoca del jobs act, del precariato e dello sfruttamento di massa serve anche la legge per fermare lo sprofondare verso il basso dei salari.
Deve però essere una legge vera, valida ovunque e per tutti, senza deroghe e scappatoie.
Deve stabilire un salario orario minimo dignitoso: 9 euro lordi, che vuol dire 7,5 netti, sono già una cifra bassa se si vogliono fermare le paghe di fame.
Deve indicizzare la paga oraria minima, altrimenti in pochi anni essa non varrà più nulla.
Deve accompagnarsi a misure contro il part time obbligatorio, cioè contro rapporti di lavoro di poche ore settimanali, mentre poi il lavoratore viene utilizzato molto di più.
Deve essere sostenuta da una lotta a fondo al lavoro nero.
Queste sono le condizioni minime per una buona legge sul salario minimo, che serva a far crescere le paghe più basse di alcuni milioni di lavoratori supersfruttati e con le esse le retribuzioni di tutte e tutti.
Non è chiaro ancora se queste condizioni minime siano davvero contenute nella proposta di Di Maio, o se l’effetto annuncio sia ben più grande della sostanza. Per questo bisogna incalzare il governo e rivendicare un salario minimo che serva ai lavoratori, non all’immagine politica. Per questo però bisogna anche contrastare l’opposizione padronale alla legge, guidata dalla Confindustria, sostenuta da PD e Lega e anche scandalosamente da Cgil Cisl Uil.
Questa opposizione è pericolosa perché, come è già avvenuto per il Decreto Dignità e per il reddito, punta a stravolgere il senso stesso del provvedimento, a renderlo molto più debole se non addirittura inutile.
Sconfiggere la santa alleanza del cosiddetto “Partito del Pil” contro il salario minimo è necessario, sia per avere una legge che serva davvero ai lavoratori, sia per farla finita con una politica ipocrita che parla di aumento di salari, ma poi fa di tutto per abbassarli.

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