Il volontariato nel Trentino…
Il volontariato nel Trentino: un settore drogato
Ho sempre evitato di entrare nel merito dei finanziamenti pubblici a sostegno delle innumerevoli feste popolari e manifestazioni che caratterizzano il Trentino quasi tutte finanziate e sostenute dall’ente pubblico.
Faccio tuttavia un’eccezione cogliendo lo spunto da una lettera dell’Azienda per la Promozione Turistica di Rovereto e la Vallagarina ricevuta in qualità di presidente dell’associazione Borgoantico, per esprimere alcune valutazioni ben sapendo che su questo argomento si possono generare e suscitare reazioni contrapposte quasi sempre negative, tanto è scontato per il mondo del volontariato considerare i finanziamenti pubblici come un atto dovuto.
Ma non tutto deve essere considerato scontato, in particolare in una situazione di crisi come quella che stiamo vivendo anche nel Trentino; bisogna naturalmente distinguere tra manifestazioni e manifestazioni, ma tutte o quasi, hanno come pilastro principale un considerevole numero di persone che danno gratuitamente il proprio contributo e fanno del volontariato un tratto distintivo della propria esistenza.
Come è noto le A.P.T. pur avendo una forte componente privata erogano finanziamenti provenienti dalla PAT e quindi soldi pubblici a tutti gli effetti, ma altri soggetti istituzionali come i Comuni, le Comunità di Valle, la Provincia stessa, la Regione e altri Enti para pubblici finanziano a piene mani tutte le manifestazioni, anche quelle che non hanno alcuna finalità sociale o caratteristiche degne di sostegno pubblico; a differenza degli enti pubblici veri e propri, le A.P.T. come le PRO LOCO hanno una vocazione della promozione turistica e a tale missione si dovrebbero attenere.
Il mondo del volontariato è molto diffuso nelle nostra Provincia ed è molto variegato, io mi limito a quello meno impegnativo e che conosco meglio ed è quello relativo alle manifestazioni popolari, alle feste e alle sagre di paese molto diffuse nella nostra terra, che la arricchiscono di storia e tradizioni e creano una forte coesione sociale nell’ambito delle proprie comunità.
In questo mondo gli Amministratori pubblici trattengono un rapporto privilegiato che quasi sempre si concretizza con un contributo economico per sostenere la varie manifestazioni; ma è proprio necessario arrivare a tanto, non sarebbe più “educativo” e utile sostenere tali iniziative mettendo a disposizione invece dei contributi: strumenti, spazi attrezzati, sedi, coperture assicurative che tante preoccupazioni creano agli organizzatori?
Le stesse associazioni dovrebbero incentivare maggiormente l’autofinanziamento promuovendo all’interno delle manifestazioni: attività enogastronomica, lotterie, giochi e altre iniziative, la stessa imprenditoria privata e la cooperazione potrebbero sostenere le manifestazioni (purtroppo con la crisi anche questi soggetti riducono il loro apporto); insomma è necessario che, crisi o non crisi, questo settore del volontariato faccia un salto di qualità. Sono a conoscenza a onor del vero che parecchie associazioni, sportive e non, hanno già iniziato ad intraprendere tale strada, e per quanta fatica abbiano fatto, gli organizzatori hanno ottenuto risultati molto apprezzabili.
Ma forse sono un illuso o pretendo troppo, perché il problema sta a monte, voglio spiegarmi meglio e per farlo faccio un paragone: tante persone si impegnano nel volontariato per decine e decine di giorni all’anno e vengono ripagate abbondantemente solo per il fatto di essersi dedicate “agli altri”, mentre vi sono centinaia di amministratori locali, anche di piccoli comuni, che percepiscono un’indennità per svolgere il ruolo pubblico per cui sono stati eletti. Che differenza passa tra i primi e i secondi?
Mi si spieghi la differenza, tra il mettersi al servizio della comunità nel ruolo di amministratore e quella di fare volontariato nelle associazioni? In questo nostro Trentino c’è qualcosa che non quadra, un sistema discriminatorio e drogato che deve essere rivisto e corretto. Mi è particolarmente difficile infine comprendere che parecchie manifestazioni hanno come fine l’obbiettivo di devolvere il ricavato in solidarietà, un atto apprezzabile e del tutto condivisibile, ma come si può far passare un atto di solidarietà con il sostegno economico pubblico alla spalle? La solidarietà avrebbe più credibilità se la somma devoluta fosse ricavata con mezzi propri, senza finanziamenti pubblici, che, come è noto, sono di tutti i cittadini.
Sandro Giordani,
presidente dell’associazione Borgoantico di Villa Lagarina
P.S.: L’associazione Borgoantico per propria scelta, fin dalla sua fondazione ha deciso che nel svolgere la propria attività di non ricorrere a finanziamenti e sostegni economici pubblici, di qualsiasi livello istituzionale, tale atteggiamento è l’atto distintivo che caratterizza l’associazione rispetto alla stragrande maggioranza delle iniziative in Trentino.
La grave crisi economica che non ha trascurato il Trentino ha messo in evidenza le difficoltà dell’ente pubblico nell’erogare finanziamenti ma non li ha chiusi, ha solamente ristretto un po’ la borsa. Siamo in una terra dove il volontariato è stato drogato, a tutti i livelli dalle manifestazioni più piccole di paese, alle quelle più blasonate; e purtroppo questa mentalità, questa forma di “assistenzialismo”alla meridionale è talmente diffusa anche qui da noi tanto da essere entrata nel dna dei volontari più genuini, non c’è festa nel Trentino che non sia sostenuta direttamente o indirettamente dall’ente pubblico. Ma così non può continuare; i comuni, la provincia, la regione devono assolutamente selezionare le manifestazioni, non è più possibile distribuire a pioggia i soldi pubblici,….
Rispondo all’intervento sul blog del sig. Giordani, per un periodo ho portato musica d’autore americana in provincia. Prima in un locale vicino a Pergine, quindi fondando un’associazione e infine collaborando con un comune. Al contrario della sua esperienza, la mia avventura associativa si è svolta prevalentemente all’interno dei teatri comunali: ottime strutture per la musica dal vivo. Sono d’accordo su quanto afferma e le esperienze vissute confermano lo stato di “dipendenza da contributo” di molte delle associazioni con cui ho collaborato, come se l’attività, nella maggior parte dei casi, si debba manifestare solo con la stesura di un progetto per un finanziamento o un rendiconto che porti al medesimo fine. L’esperienza che porto a testimonianza su questo blog non è soddisfacente per una serie di problemi riscontrati nell’organizzazione degli eventi e per la mia visione associativa che puntava più sulle idee che sui finanziamenti: in molte occasioni ho dovuto scontrarmi. Ho assistito personalmente a discussioni assurde su progetti ancor più assurdi per poter ottenere soldi dal comune di turno o dalla provincia. Constatato che non ne avrebbero ricavato nulla molti dei soci si sono dileguati. La mia personale visione è che se un socio crede in quello per cui si iscrive ad un’associazione, ci mette anche più del dovuto per mandar avanti la “baracca”. Da questa esperienza ho capito che il tanto sbandierato “parassitismo meridionale” è ben radicato anche in trentino. Spesso ho avuto la percezione che i componenti di un’associazione si dividano tra quelli che capiscono l’importanza dell’autofinanziamento e della partecipazione e quelli che sfruttano la tessera come un mezzo per ottenere benefici che possono danneggiare anche la stessa associazione. Atteggiamenti poco chiari di soggetti non dotati degli ideali e della moralità che dovrebbe sorreggere il vivere associativo e che sguazzano nel pantano di un comportamento senza logica organizzativa e con un senso di impunità dato dallo scudo dell’associazione. Forse è una caratteristica dei nostri tempi. L’sperienza mi ha indotto anche a proporre soluzioni di vario genere per non puntare solo alle richieste di fondi e per una diversa collaborazione tra ente pubblico ed associazione come la divisione di guadagni o perdite: una partnership in cui se si lavora bene assieme si può andare avanti. Oppure il finanziamento post-evento sulla base di parametri basati anche sulla consistenza della perdita o del guadagno, così l’associazione è stimolata a promuovere di più, a fare prezzi competitivi, organizzarsi, ecc. Alla fine di tutto dovrebbe redigere un rapporto su quanto ha fatto e su quanto potrebbe fare per migliorare (anche in previsione di una revisione del contributo), invece di stilare progetti non chiari o con elementi irrealizzabili. Personalmente ho sempre puntato sulla promozione dell’evento, sulla diffusione della notizia attraverso tutti i canali possibili. La filosofia del “tanto paga el comun” per me è inaccettabile: un’evento va promosso al massimo delle possibilità di un’associazione. Ho assistito a concerti proposti da associazioni universitarie praticamente quasi senza paganti eppure completamente coperti dall’ente. Le idee che ho proposto all’interno di varie associazioni non hanno fatto scaturire nemmeno un dibattito e l’idea che bisogna cercare di spezzare quel rapporto privilegiato che lei descrive sul blog hanno creato solo irritazione. Un atteggiamento che non ha un filo politico e, trasversalmente, rende complici, sfrutttatori e sudditi del sistema. Rispondendo ad alcuni pensieri che ha scritto nel suo intervento sul blog dell’amico Ezio e partendo sempre dalla mia esperienza: ritengo che più che selezionare le manifestazioni, bisognerebbe responsabilizzare i soci e stimolarli nel proporre idee che portino spettatori alla manifestazione (qualunque essa sia) e alla riduzione progressiva dell’intervento pubblico. Finendola con il fatto che per ottenere un contributo bisogna portare il conto economico a pareggio o in negativo: se un’associazione ha un’evento di successo è giusto che si gestisca il suo guadagnato ingresso e non richieda altri contributi magari forzando i propri dati fiscali per ottenerli. Dando soldi solo ad una parte delle associazioni, e poi sulla base di quale giudizio, si potrebbero generare risentimenti. I finanziamenti dovrebbero essere ridotti a tutti del 50% e quelli mancanti dovrebbero essere sostituiti da strutture ed agevolazioni fiscali, commerciali, siae ecc. Bisognerebbe promuovere degli incontri pubblici con i membri delle locali associazioni per stimolarne i soci ad un maggiore attivismo e gestione delle idee: anche per un’associazione ci deve essere una specie di “rischio d’impresa” affinchè i suoi propositi vadano avanti e i soci ne dovrebbero essere pienamente consapevoli. Forse così si potrebbe ottenere un certo risparmio per il pubblico e una maggior coscienza nell’intraprendere l’associazionismo. Un brutto esempio a cui mi è capitato d’assistere nelle ultime iniziative da me proposte tra il 2009 ed il 2011: a fronte di un Sindaco ed un’assessore alla cultura intraprendenti e volenterosi ho visto una totale assenza delle associazioni e un grave disinteresse alle iniziative, neanche una critica. Questo esempio è una prova tangibile dell “intossicamento da contributo” che Lei denuncia nel suo scritto, una volta ottenuto il contributo per il proprio orticello il resto del mondo può morire. Questo comportamento mi ha indotto a lasciare. Concludo questo intervento dicendo che l’associazionismo è una parte importante della comunità trentina. Bisogna capire il motivo di una iniziativa, le possibilità di portarla a termine senza gravare sulla comunità attraverso una occulata organizzazione, le agevolazioni, la giusta promozione, l’autofinanziamento. Un cambiamento dovrà essere fatto per regolamentare il sistema associativo trentino, tale passaggio potrà essere fatto solo se riusciremo a capire che cosa vogliamo realmente da esso: sfruttarlo sino all’esaurimento delle risorse (filosofia in voga con le quelle ambientali) o avere il coraggio di intraprendere delle azioni di elargizione basate sulla collaborazione e sulle idee?
Nicola Messina