La casa e’ un bene comune
In questi giorni si moltiplicano le denunce e le proteste da parte degli inquilini ITEA per gli aumenti – che noi riteniamo ingiustificati – arrivati con il mese di gennaio 2014.
Aumentano i prezzi, le tariffe dei servizi pubblici e adesso, con la scusa di una perequazione prevista nella riforma del 2005, anche gli affitti ITEA aumentano, mentre pensioni e salari sono fermi e ogni giorno aumentano disoccupati e cassaintegrati. Ma questa situazione non interessa ad una spa che antepone il profitto aziendale al dramma che quotidianamente vivono i cittadini, posti in una condizione di servaggio, inascoltati dal potere politico che pare aver perso ogni contatto con il popolo che dovrebbe rappresentare.
Premesso che: nessuno vieta che in questa situazione di forte crisi, dove è difficile arrivare a fine mese, dove i salari non solo non aumentano, ma spesso le aziende chiedono di ridurli, la perequazione avvenga, ma al ribasso e non al rialzo. Le motivazioni date dai responsabili ITEA ci sembrano poco credibili e più lontane che mai dalla realtà.
In questo contesto, anche le affermazioni delle tre confederazioni appaiono poco credibili e di maniera, in quanto si ricorda che Cgil, Cisl e Uil, hanno voluto, approvato e sostenuto, la riforma dell’istituto di edilizia abitativa, ben consci che quella riforma nascondeva (ma non troppo) forti aumenti per gli inquilini ITEA.
Ricordiamo che a sostegno della riforma le tre confederazioni portavano l’impegno dell’Ente pubblico per la costruzione di 9000 alloggi popolari in tre anni. A distanza di 8 anni gli aumenti sono diventati realtà, mentre i paventati 9000 appartamenti non si vedono nemmeno in fondo al tunnel di montiana memoria.
Oltre al fatto che gli alloggi dati, sono in taluni casi, strutturalmente decadenti, sprovvisti di un’adeguata manutenzione da parte dell’istituto abitativo; inoltre in caso di problematiche quali guasti, malfunzionamenti o altre, gli interventi avvengono in tempistiche eccessivamente lunghe o fatti in maniera sbrigativa e ben poco esaustiva e professionale, oppure non avvengono affatto. I costi degli interventi “straordinari” gravano sui conti degli inquilini peggiorando la già precaria situazione economica in cui versano codesti soggetti.
Quindi, noi restiamo dell’idea che oggi, nel momento in cui le nostre denunce, allora inascoltate, sono diventate realtà, serve a poco una discussione che si limiti a richiedere qualche modifica di contorno. Serve mettere in discussione alla radice l’impianto della riforma Dalmaso, superare le liste separate, ripubblicizzare l’Istituto di edilizia abitativa affinché la politica della casa ritorni ad essere fra gli impegni prioritari di spesa e di intervento sociale da parte delle amministrazioni provinciali e comunali.
Serve rivedere il meccanismo di calcolo dell’Icef, che oggi viene usato per nascondere la vera domanda di case popolari e quindi rivendicare un piano di edilizia popolare – a cemento zero – puntando sul recupero e la ristrutturazione dell’esistente, talvolta in disuso o in completo stato di abbandono.
Il diritto all’abitare deve rientrare nelle priorità della giunta, per dare da una parte ossigeno al settore dell’edilizia e dall’altro offrire uno strumento di calmierazione sia per gli affitti privati (non si risolvono con politiche di sostegno al canone) sia per i costi delle case, di modo che, il diritto alla casa diventi esigibile e non rimanga una chimera o l’eterna promessa delle campagne elettorali.
Rossi nei gironi scorsi ha espresso la sua intenzione di ripubblicizzare l’Istituto ITEA e quindi gli chiediamo che come primo atto di una nuova politica pubblica dell’edilizia popolare, che blocchi tutti gli aumenti e attivi forme di partecipazione degli inquilini alla definizione delle nuove scelte in materia di edilizia popolare.
Per cambiare la riforma Dalmaso, contro la privatizzazione del diritto alla casa, contro l’aumento dei canoni, intendiamo mobilitarci assieme a tutti i movimenti che sul nostro territorio si battono contro le politiche neoliberiste, la spending review e i tagli ai servizi sociali perpetrati dalla giunta provinciale in questi anni.
SBM e USB del Trentino