La responsabilita’ delle proprie azioni

“Qui si è passato il segno”, sono “fatti inquietanti”, c’è un “clima di paura”, “siamo arrivati alla violenza”… Da settimane il coro politico e mediatico contro la tribù delle fratte continua a martellare.
L’unica violenza reale e ben visibile è quella che le istituzioni hanno fatto alla natura e alla storia, distruggendo dei bellissimi terrazzamenti senza che ciò fosse necessario e nemmeno utile. Il progetto esecutivo elaborato dai geologi incaricati dal Comitato “da vicolo a vicolo” dimostra in modo inequivocabile ciò che sosteniamo da mesi: si poteva e si può togliere il pericolo del diedro in pochi giorni (un mese al massimo) e poi procedere a una messa in sicurezza dell’abitato in armonia con l’ambiente. Invece di questo, dopo più di sessanta giorni di lavori abbiamo le fratte spianate con la popolazione e gli operai ancora più a rischio di prima. L’indelebile ferita che hanno procurato al territorio è l’altra faccia del colpo che hanno inferto agli animi di chi è nato e cresciuto in quei luoghi coltivati con tenacia e con sudore per generazioni.
E vorrebbero pure che la gente se ne stesse lì a lamentarsi e basta! Oppure, se proprio deve protestare, che lo faccia “nei modi istituzionali” (cioè, come si è visto, del tutto inutili).
All’interno di questo coro, da qualche tempo al PD si sono associate anche certe forze politiche di minoranza.
Ma la nostra tribù ha sempre rivendicato la propria autonomia da partiti e movimenti politici, sa parlare per se stessa e non si fa certo condizionare da appoggi pelosi e da interessate prese di distanza.
Se a qualcuno dobbiamo spiegazioni di scelte e proposte, queste sono le centinaia di persone che hanno partecipato alla protesta contro il vallo tomo e con cui abbiamo condiviso un’esperienza straordinaria per Mori e non solo.
Ciò che politici e giornali spacciano per “fuga in avanti” o per “forzatura” di questo o quel gruppo è invece il risultato di proposte e scelte maturate e condivise in assemblea. Così è stato per il blocco del traffico di sabato 25 febbraio, il cui senso era: “Se è normale distruggere le fratte, blocchiamo la normalità”. Così è stato per la terra sparsa dentro e fuori il Consiglio comunale il 27 febbraio: “Siamo venuti a riportarvi un po’ delle vostre macerie” (la terra della resistenza contro il cemento dell’arroganza). Così è stato per le recinzioni del cantiere divelte collettivamente domenica 5 marzo: “Dopo 60 giorni di lavori siamo più insicuri di prima. Avete distrutto le fratte per niente”. Le assumiamo tutte come azioni nate dalla e nella tribù. Azioni che può definire “violente” solo chi confonde ad arte non-violenza e legalità. Non erano gesti legali, ma erano giusti. Condotti, tra l’altro, con modalità pacifiche.
Il tempo ha confermato tutte le ragioni della nostra lotta. Non ce ne ha fornito nemmeno una per mollare.
Ci minacciano che pagheremo per le nostre azioni. Probabile. Lo abbiamo messo in conto.
Se nessun prezzo economico può ripagare le fratte, la loro devastazione dovrà pure comportare un prezzo politico e sociale per chi l’ha così arrogantemente e deliberatamente compiuta. O no?
È una questione di dignità, di memoria e anche di autodifesa collettiva contro futuri scempi.

La tribù delle Fratte

Mori, 8 marzo

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