Lavoro. La rappresentanza dimezzata
Anche le confederazioni stando all’ipotesi (poco pubblicizzata) di accordo con Confindustria, hanno optato per una democrazia maggioritaria e l’autoritarismo del padrone sarà quindi suggellato dalla complicità dei sindacati che condividono l’ideologia del profitto capitalista.
Mentre la disoccupazione cresce in modo esponenziale, i giovani destinati ad una precarietà a vita, i salari perdono potere di acquisto, il welfare ridotto all’osso, aumentano i suicidi causati dalla disperazione sociale e i morti sul lavoro le Confederazioni non trovano di meglio che ricercare un accordo con i padroni per rendere legale la politica discriminatoria fatta dalla Fiat nei confronti della Fiom e di quanti si sono rifiutati di sottoscrivere l’accordo capestro imposto da Marchionne.
Una ipotesi che sarà sottoscritta dopo le garanzie del suo recepimento in legge da parte del governo Letta, e lavoratori e delegati saranno, forse, chiamati a ratificarlo dentro assemblee dimezzate dove la democrazia non avrà cittadinanza. Quanto successo nella riunione degli esecutivi “unitari” di Cgil Cisl e Uil nazionali di inizio maggio ha dimostrato, con la “cacciata” di Cremaschi, che nel sindacato l’unica democrazia possibile è quella autoritaria del segretario e quindi il dissenso non è ammesso in quanto potrebbe far emergere la subalternità culturale e politica del sindacato.
Infatti, nelle pieghe di questa ipotesi di accordo sulla rappresentanza (stranamente non reperibile su Internet) si nascondono delle vere e proprie scelte di classe contro l’autonomia del lavoro.
Non solo appare chiaro l’obiettivo di azzerare ogni forma di lotta ma si pongono le basi per ostacolare ogni prospettiva di sindacato di autonomo ed indipendente dall’impresa e il lavoratore rischia di diventare solo merce di scambio all’interno di una finta trattativa sindacale ridotta a semplice riduzione del danno.
Un scelta che nel silenzio generale della stampa è stato approvato, con la sola opposizione della rete28 aprile, dal direttivo nazionale CGIL e quindi le dinamiche contrattuali saranno fortemente condizionate dai contenuti dell’intesa sulla rappresentanza.
Infatti ai tavoli dei contratti nazionali parteciperanno solo le organizzazioni che rappresentano almeno il 5% degli iscritti mentre a livello aziendale parteciperanno le RSU ed i loro sindacati. Ogni accordo diviene valido se la maggioranza dei sindacati o delle RSU lo sottoscrive. La consultazione dei lavoratori è possibile solo se lo chiede almeno una delle organizzazioni presenti al tavolo, oppure almeno il 30% dei lavoratori.
Ma non solo, l’accordo prevede che per accedere al tavolo il sindacato deve sottoscrivere la rinuncia a contestare i futuri accordi che verranno adottati dalla maggioranza dei sindacati.
In pratica, una volta che un contratto è stato accettato dalle maggioranze, chi non è d’accordo non può più contestarlo, fare sciopero, fare azione autonoma, pena l’esclusione dai successivi tavoli.
E’ il modello Marchionne che dal pianeta Fiat viene calato su tutto il territorio nazionale:chi dissente non parlerà più, non tratterà più. Appare evidente il tentativo di isolamento nei confronti di ogni opposizione e lotta non legata alle dinamiche dei sindacati confederali.
Viene spianata la strada ad un nuovo giro di vite su tempi, orari e organizzazione del lavoro e del dominio incontrastato del capitale sul posto di lavoro dentro un processo di ristrutturazione europea del mercato del lavoro, ormai sempre più pesantemente caratterizzato dalla figura del “working poor”, povero che lavora.
Le celebrazioni assieme Confindustria del primo maggio sono la dimostrazione reale che l’accordo ha iniziato a dare i suoi frutti. Cancellare la festa dei lavoratori per trasformarla in un trionfo della centralità dell’impresa da cui tutto deve dipendere: lavoro, dignità, democrazia e futuro dei lavoratori.
Questa ipotesi di accordo rappresenta un pesante macigno sulla manifestazione del prossimo 18 maggio organizzata dalla Fiom in quanto non si può costruire un’alternativa al governo Letta, alle politiche di austerità, al fiscal compact, al pareggio di bilancio, allo smantellamento del welfare e dei beni comuni escludendo a livello politico sindacale il dissenso.
Ezio Casagranda