Lavoro: la truffa del reintegro
Pubblico un articolo tratto da “Il Fatto Quotidiano” di mercoledì scorso a firma di Bruno Tinti il quale spiega in maniera chiara e precisa come Il duo Fomero-Monti abbia preso per il naso l’accoppiata Camusso-Bersani sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Camusso in questo frangente ha dimostrato tutta la sua subalternità a Bersani il quale più che del destino dei lavoratori è preoccupato dell’unità del suo partito e delle prossime elezioni. Sosteniamo la FIOM che è rimasta, assieme ai sindacati di base, l’unica forza sindacale in campo contro la cancellazione di fatto dell’articolo 18. Ezio Casagranda
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Non avrei mai pensato di rivolgere al presidente Monti e al ministro Fornero la stessa domanda (retorica) tante volte fatta B&C : ma ci siete o ci fate? E invece …
L’art. 14 comma 7 del ddl sulla riforma del lavoro (Tutele del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo) dice: “il giudice che accerta la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (sarebbe il licenziamento per motivi economici) applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del medesimo articolo” (il reintegro).
E, poco più avanti: “nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi
del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma”. Che consiste nel dichiarare “risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condannare il datare di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva” (l’indennizzo).
Tutto ruota intorno a due paroline: “manifesta insussistenza”. Cosa vogliono. dire? In linguaggio comune è semplice: il fatto posto alla base del licenziamento non esiste; perciò il lavoratore va reintegrato nel posto di lavoro, poche storie. Ma, per un giurista, l’insussistenza senza aggettivi è cosa diversa dall’insussistenza “manifesta”. Il”
giurista si chiede: ma’ perché questi hanno sentito il bisogno di scrivere che l’insussistenza deve essere “manifesta”? Un fatto o sussiste o non. sussiste; quanto sia complicato accertare che esista non incide sulla sua esistenza, solo sulla difficoltà della prova. Per capirei meglio, un assassino va condannato sia che lo si becchi con il coltello sanguinante in mano, sia che la . sua responsabilità emerga dopo un complicato lavoro di indagine (movente, alibi, testimonianze etc). Dunque, pensa il giurista, questi hanno scritto “manifesta insussistenza” proprio per differenziare questi casi da quelli in cui c’è l’insussistenza semplice; e per differenziare il trattamento conseguente, reintegro nel primo caso, solo indennizzo nel secondo. Come tecnica legislativa non è una novità. Quando, in un processo, si solleva un’eccezione di illegittimità costituzionale, i! giudice la accoglie solo quando fa questione non è “manifestamente infondata”. Se è sicuro che la legge è conforme alla Costituzione, respinge l’eccezione. Insomma, solo quando il giudice ha qualche dubbio sulla costituzionalità della legge (o, naturalmente; quando è sicuro che sia incostituzionale), chiede alla
Corte costituzionale di valutare.
Ne deriva che la Corte non riceve tutte le questioni di illegittimità costituzionale ma solo quelle che i giudici ritengono “non manifestamente” infondate. Può darsi che tra le altre, quelle che il giudice ha respinto (sbagliando), ce ne fossero di fondate; ma la loro fondatezza non era “manifesta”; e quindi…
Tornando all’art. 18, siccome i criteri di interpretazione giuridica delle leggi questi sono (art. 12 del codice civile), ne deriva che il giudice potrà reintegrare i! licenziato solo quando, da subito, senza indagini, senza prove, “manifestamente” appunto, è sicuro che il motivo economico non sussiste. Se invece dubita, se per decidere deve acquisire prove, allora niente reintegro. E cosa al suo posto? Ma è chiaro, l’indennizzo. E infatti Monti-Fornero lo dicono espressamente: “nelle altre ipotesi”, cioè quando l’insussistenza del motivo economico va accertata con una
normale istruttoria dibattimentale (prove, testimonianze, perizie), quando dunque non è “manifesta”, di reintegro non se ne parla. Magari alla fine salterà fuori che il motivo economico non’ c’è; ma, siccome è stato necessario un vero e proprio processo per rendersene conto, niente reintegro, solo un po’ di soldi.
Da qui derivano tre conseguenze micidiali. .
La prima: il reintegro per motivi economici non ci sarà mai. Davvero si può pensare che un’azienda licenzi con motivazioni che da subito, senza alcun dubbio, “manifestamente”, si capisce che sono una palla? Se anche la motivazione economica è infondata, sarà certamente motivata bene; e quindi sarà necessario un normale processo, come si fa sempre. Solo che, a questo punto, l’insussistenza del motivo economico, anche se accertata, non è “manifesta”; e il lavoratore non potrà essere reintegrato.
La seconda: i giudici saranno in un mare di guano. Perché, in alcuni casi, l’insussistenza del motivo economico ci sarà; – ma, per essere sicuri, un po’ di istruttoria va fatta. Un giudice non può dire: “È così”. Deve motivare perché è così; e per questo è necessaria l’istruttoria.
Ma, se la fa, addio reintegro. Mica male come dilemma.
La terza: a seconda dell’interpretazione che il giudice darà del concetto “manifesta insussistenza” gli diranno che è uno sporco comunista o uno sporco capitalista.
Della serie:’ “Se la mente del giudice funziona, la legge è sempre buona” (Snoopy sul tetto della sua cuccia). “Certo che con questi giudici…; anche le leggi migliori, che i! sindacato si è ammazzato per ottenerle (O che il governo si è dannato per scriverle), non funzioneranno mai. La responsabilità per gli errori dei magistrati, ecco quello che ci vuole”.
Ma, a questo punto: davvero Camusso & C, Bersani & C, a tutto questo non ci hanno pensato? O si sono accontentati di una (finta) dimostrazione di forza, del tipo: “Abbiamo costretto i! governo etc etc; guardate come siamo bravi”?
di Bruno Tinti
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