Licenziamo i Padreterni nostrani

“Squadra che vince non si cambia” recita così uno dei detti che va per la maggiore all’interno della cultura sportiva del nostro paese e in effetti dentro al modello agonistico direi che l’adagio potrebbe anche trovarmi daccordo. Ma forse in Politica, in Cooperazione e nell’ Amministrazione pubblica si dovrebbe avere qualche obbiettivo in piu’, che vincere ( venire rieletti o riconfermati). Perchè anche nello sport in effetti c è modo e modo di vincere e determinati tipi di vittorie poi sono a volte, le cause di sconfitte successive.
Alcide Degasperi diceva: “un buon politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione” forse questa riflessione nel contesto della nostra Provincia Autonoma è stata un po’ messa da parte. Che sia rimasta chiusa dentro gli scaffali di Piazza Dante, in uno di quei faldoni che non si vogliono più aprire?
Così Diego Schelfi apre le danze, gli “viene chiesto” di superare il limite dei mandati che aveva detto non voler oltrepassare. Lui suo malgrado accetta e dice: “ magari farò una brutta figura”, ma è logico che verrà acclamato. Il punto è che la responsabilità di queste scelte non è solo degli Schelfi o i Dellai di turno, ma anche e soprattutto in tutti coloro che credono nell’ insostuibilità di questi personeggi e che spesso per avere uno stipendio o una prebenda in più spengono il loro senso critico e la loro voglia di innovazione. Quei “funzionari” sempre e comunque daccordo, che coltivano un modello di Trentino e di Autonomia che non ha il coraggio neanche di sperimentare piccole modifiche rispetto a percorsi già sperimentati. Proprio quando in un momento difficile e di passaggio come questo si dovrebbe osare “il cambiamento”.
Il primo passo verso la potenziale cristallizzazione del clima sociale e politico del Trentino, l’abbiamo fatto e non che ci sia un monarca cattivo che lo impone: ma sono la passività e il clientelismo che circolano, che puntano a far credere che senza quei tre o quattro personaggi “il sole non sorgerebbe, il giorno dopo”.
Luigi Einaudi uno che di certo non era un sovversivo, ma che letto dentro il nostro contesto provinciale pare un rivoluzionario, diceva: “Bisogna licenziare questi padreterni orgogliosi (…) persuasi di avere il dono divino di guidare i popoli nel procacciarsi il pane quotidiano.(..) I professori ritornino ad insegnare, i consiglieri di Stato ai loro pareri, i militari ai reggimenti e, se passano i limiti d’età, si piglino il meritato riposo». Dentro questo scenario ingolfato le potenzialità di chi vive il territorio e potrebbe leggerlo con occhi aperti e nuovi, fuori da intessi lobbystici o filtri antiquati, rimangono poco valorizzate. Giovani e meno giovani che potrebbero innovare: o se ne vanno o si mimetizzano e aspettano che arrivi il loro momento, senza provare a fare un passo innavanti sperando(invano) che questi “ottuagenari nostrani” facciano un passo indietro spontaneamente.

Jacopo Zannini

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