Monti: prende ai poveri per dare ai ricchi
Ascoltare le dichiarazioni di voto dei vari partiti sulla manovra Monti sono rimasto stupito dalla sudditanza della sinistra rispetto alle proposte del governo nella formulazione della manovra. Una sudditanza certificata dallo stesso Catricalà, quando ha candidamente ammesso che non ha fatto le “liberalizzazioni” perchè ha trovato “resistenze pazzesche”.
Una domanda sorge spontanea. Ma allora i tagli sulle PENSIONI, sull’ICI sulla prima casa, sull’aumento di 2 punti dell’IVA, della benzina e sugli altri provvedimenti contenuti in manovra che colpiscono le classi più deboli della popolazione sono stati possibili poichè sinistra e sindacato non hanno fatto resistenza?
Perchè il PD non ha insistito nel chiedere una manovra alternativa puntando sulla patrimoniale, sulla cancellazione delle spese militari, su interventi immediati contro l’evasione fiscale?
In Italia annualmente vengono evasi oltre 275 miliardi, pari a 10 manovre. Perchè queste scelte sono state rinviate, se va bene, ad un secondo tempo?
Bersani nel motivare il voto favorevole del PD ha sostenuto che “questa manovra ha degli elementi di equità” che sono frutto dell’iniziativa del suo gruppo parlamentare. Onestamente io vedo in questa manovra non solo una forte iniquità ma anche una specie di “vendetta” nei confronti dei giovani e dei poveri.
Infatti, il governo a ridotto la tassa sui “lusso” (panfili e suv e macchine di lusso) e il mancato introito viene recuperato dall’aumento del tabacco sfuso, che come ognuno di noi sa, per il suo basso costo è utilizzato sopratutto dai giovani, dai precari, dai disoccupati e da quanti non possono permettersi le più costose sigarette.
Questo, caro Bersani, non solo è iniquo ed immorale ma significa prendere ai poveri per dare ai ricchi in perfetta coerenza con il precedente governo che in 10 anni ha permesso un trasferimento di ricchezza dai salari ai profitti di ben 10 punti di PIL. Un Robin Hood alla rovescia.
“Esemplare per equità” e anche la vicenda delle frequenze TV. Ha ragione Di Pietro quanto dice. “Qualcuno mi spieghi perché, se anche il governo ha recepito l’odg del mio partito, non è stato inserita l’asta delle frequenze direttamente in manovra per poter ridurre il taglio ai pensionati?”
Mi associo alla domanda di Di Pietro e aggiungo forse Bersani ritiene che si può decidere con urgenza solo sulle pensioni e non sulle frequenze, tanto care a Mediaset e Rai?
Oggi la Fornero ha dichiarato che l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori non può essere un totem e che bisogna discuterne.
Se questa è la risposta del Governo alle dichiarazioni del PD che sul lavoro non farà sconti forse è utile un supplemento di riflessione su dove ci porta il sostegno al governo Monti.
Ezio Casagranda
Ma perchè non la finiamo con questi professori ed economisti che forniscono sempre le solite vecchie ricette ormai fallite: 30 anni di liberismo ci ha regalato questa crisi. I professori (tecnici) alla Monti ci regala una manovra di macelleria sociale. Dopo oltre 15 anni di flessibilità (Treu, Biagi, ecc) PER AIUTARE I GIOVANI LA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE è LA 30%. Sono da licenziare per giusta causa e giustificato motivo e suggerisco ai giovani di fare una class action per chiedere i danni morali e materiali perchè sono stati imbrogliati con la favole della flessibilità.
Sinistra? Pensi che il PD sia assimilabile in qualche modo alla sinistra?
Questo partito ha oramai fatto il salto della barricata da molto tempo e da buon partito ultraliberista non fa altro che appoggiare chi massacra lavoratori e ceti sociali deboli. Sicuramente vi sono moltissime persone di sinistra che lo votano ancora. Bisogna aprire loro gli occhi e ricostruire una sinistra vera, alternativa, anticapitalista.
Francesco Porta
Rifondazione Comunista
Caro Ezio ti invio la parte finale di un intervento di Michele Nobile che puoi leggere per intero nel blog di Utopia Rossa, perchè mi sembra illumini per chiarezza. Ciao Antonio
“Innanzitutto, il valore anticapitalistico di un obiettivo non è una sua qualità intrinseca. Qualsiasi conquista dei lavoratori può esser assorbita nella riproduzione del sistema, o neutralizzata o deformata o, infine, rovesciata al momento opportuno. Qualsiasi conquista dei lavoratori diversa dal rovesciamento del potere statale e padronale costituisce una riforma del sistema. La nazionalizzazione, ad esempio delle banche (anche senza indennizzo), può danneggiare gravemente una frazione della classe dominante, ma non costituisce certamente l’abbattimento del potere di questa classe nel suo insieme. Ovviamente, noi dobbiamo batterci per conquiste parziali e settoriali, ma senza elevare alcun obiettivo a feticcio anticapitalistico.
A fronte delle grandi questioni sociali e dei movimenti di massa, il criterio con il quale gli anticapitalisti dovrebbero formulare e valutare un obiettivo di lotta è quello della capacità dello stesso di rispondere ai bisogni da cui scaturiscono i movimenti e di favorirne nello stesso tempo la crescita della coscienza politica in senso anticapitalistico. Se ci si ferma alla difesa degli interessi immediati di classe avremo un onesto sindacalismo e un onesto riformismo politico, quest’ultimo pressoché inesistente nei sistemi politici dei paesi a capitalismo avanzato. Ma se si prescinde dagli interessi immediati di classe allora non si avrà null’altro che la velleitaria rivendicazione propagandistica della rivoluzione o, peggio, la rivendicazione di un governo di sinistra od operaio in un’epoca in cui i partiti operai sono estinti. A mio parere, nei paesi a capitalismo avanzato i partiti operai novecenteschi non possono più risorgere: l’avanguardia politica deve trovare strade diverse da quelle postulate dal leninismo, dal tardoleninismo, dal trotskismo, dalla varia gruppettistica gerarchizzata.
L’effettivo valore anticapitalistico di un obiettivo risiede nel suo essere motivo di contrapposizione tra le classi, nella sua capacità di acutizzare tale contrasto: cioè nella dinamica di lotta e di autorganizzazione che esso mette in moto.
Non è difficile elaborare a tavolino una lista di obiettivi settoriali e parziali anticapitalistici. Questo, però, è solo un esercizio formale e di mera propaganda che vi risparmio. I grandi movimenti sociali, come quelli che occorrerebbero in questo momento, esplodono, se esplodono, non per decisione dell’avanguardia politica ma in seguito a processi spontanei di radicalizzazione che si trasformano in lotta. Non a caso parlo di movimenti sociali e non di manifestazioni/corteo nazionali simboliche o dimostrative o più o meno spettacolari, che possono essere promosse e organizzate da partiti, associazioni o sindacati. Di queste manifestazioni ne vediamo periodicamente da anni e a volte con dimensioni enormi, ma non hanno portato ad alcun risultato concreto. I grandi movimenti sociali in genere elaborano autonomamente le proprie parole d’ordine, i propri obiettivi parziali. Il compito dell’avanguardia politica e sindacale è radicalizzarli, chiarire la dinamica dello scontro, dissipare le illusioni. Tra questi compiti c’è anche quello di spiegare le sconfitte, di sedimentare l’esperienza, di creare le condizioni per cui non si ripetano gli stessi errori.
Tra le illusioni correnti c’è quella che si debba formulare un programma di politica economica alternativa, o sottoporre ad esame il debito sovrano per decidere cosa si debba pagare e cosa no, o addirittura uscire dall’eurosistema o, più modestamente, puntare su un qualche improbabile referendum. Questo significa mettere il carro davanti ai buoi. Per operazioni del genere occorre avere già il potere politico oppure contare su un «governo amico» di triste memoria. Per inciso, noto che proposte di politica economica «alternativa» su scala nazionale sono in contraddizione con la tesi della «globalizzazione» e dell’obsolescenza delle capacità d’intervento economico degli Stati. Mettersi poi a dare consigli alla borghesia su come risolvere la propria crisi e smussare le contraddizioni del sistema, o anche volerle imporre un qualche compromesso progressista, sociale ed ecologico tra capitale e lavoro è esattamente quel che non bisogna fare.
Non abbiamo bisogno di campagne d’opinione e neanche di manifestazioni-spettacolo. Non abbiamo bisogno di velleitarismi politicistici. Dobbiamo rifuggire dai surrogati referendari e istituzionali. Tutto ciò costituisce un diversivo rispetto al compito prioritario e una sostituzione di ciò che non si può inventare ma che è il solo mezzo per iniziare ad aprire delle possibilità: lotte di massa su obiettivi determinati e specifici con l’obiettivo di non cessare il conflitto finché non si conseguono concretamente, in tutto o in parte.Che possano confluire insieme in un movimento antigovernativo e antipadronale che concretizzi, settore per settore, situazione per situazione, l’indicazione politica centrale del momento: NOI NON PAGHIAMO I COSTI SOCIALI DELLA CRISI E DEL DEBITO CONTRATTO DA PADRONI, BANCHE E GOVERNI.E NON VOGLIAMO NEMMENO CHE PER NOI LO PAGHINO I LAVORATORI DI ALTRI PAESI.
Fiorito ruba i soldi pubblici per organizzare feste a base di ostriche e champagne e deve giustamente dimettersi, Monti ruba ai poveri per mantenere le banche e viene considerato un grande statista. Forse è per questo che nonostante scandali, licenziamenti, corruzione dilagante e magna magna in questo paese regna la calma…..
Ha ragione Ezio, Monti da commissario liquidatore dei nostri diritti fa una politica sociale iniqua rubando ai poveri (vedi pensioni, articolo 18 e tariffe) per ingrassare le banche.
Vergogna per quanti ieri, oggi e domani hanno sostenuto e vogliono continuare a sostenere Monti, il vampiro.
Sul debito pubblico rifiutato dagli Islandesi nessuno vi dice niente http://www.washingtonsblog.com/2012/08/top-economists-iceland-did-it-right-everyone-else-is-doing-it-wrong.html
ISLANDA AVEVA RAGIONE
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