No alla cogestione della crisi
Le dichiarazioni del segretario confederale della Cgil del Trentino Franco Ianeselli, pubblicate su il TRENTINO del 3 febbraio scorso, ci sembrano molto distanti dalla realtà di questa crisi. Continua a parlare di aumenti di competitività e non prende in considerazione né la finanziarizzazione dell’economia a discapito della produzione né la manovra a livello europeo che sta sfruttando una crisi di sistema per frantumare lo stato sociale.
Le ricette danesi o similari che vengono proposte sono tutte funzionali alla strada che vede la precarizzazione dei rapporti come l’unica possibile, senza citare altre soluzioni antirecessive che un sindacato dei lavoratori dovrebbe avere ben chiare.
Ianeselli sollecita ancora una volta la P.A.T. ad intervenire con il governo Monti affinché essa possa ottenere la delega sulla gestione degli ammortizzatori sociali quali indennità di disoccupazione e cassa integrazione per i lavoratori da accompagnare con corsi di formazione. Mentre a Roma i tre sindacati confederali stanno discutendo con Monti e Fornero sulla modifica all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, in Trentino non ci si pone nemmeno il problema: Ianeselli guarda già avanti preoccupandosi di come dovranno essere gestiti gli ammortizzatori sociali in caso di licenziamento dei lavoratori. Se l’art. 18 dovesse essere modificato sarebbe danneggiata gran parte del tessuto produttivo italiano mettendo a repentaglio milioni di posti di lavoro poiché le imprese potrebbero semplicemente essere impegnate a indennizzare i lavoratori licenziati con qualche migliaio di euro avendo la possibilità poi di assumere precari sempre più ricattabili oppure di delocalizzare la produzione. Inoltre la proposta di Ianeselli di ricorrere all’apprendistato per favorire nuove assunzioni è un regalo per il padronato che, a fronte della medesima prestazione lavorativa, potrà utilizzare per anni manodopera precaria ricattabile e a basso costo pagando meno contributi e una retribuzione inferiore a quella del contratto collettivo di lavoro che dovrebbe applicare al lavoratore.
La gestione degli ammortizzatori sociali è una partita importante anche economicamente in quanto vale milioni di euro; la P.A.T. è intenzionata ad attribuire ai sindacati e al padronato la cogestione di questa parte di stato sociale finora pubblica assieme alle forme di pensione e sanitarie cosiddette “integrative”, privatizzandone quindi la gestione e delegandone il controllo. E se per gli ammortizzatori sociali è prevista una regia territoriale, per le forme di pensione e sanitarie integrative ci potrà essere addirittura una differenziazione azienda per azienda. Tutto questo confermerà una mercificazione e quindi un indebolimento della struttura pubblica del welfare a discapito dei soggetti più deboli e dei disoccupati, che non avranno più la garanzia di poter usufruire di diritti che riteniamo debbano essere garantiti dal pubblico a tutti e quindi anche ai disoccupati, ai licenziati e ai precari indipendentemente che siano trentini o siciliani. La privatizzazione dello stato sociale in Trentino e nel resto d’Italia causerà la territorializzazione e la parcellizzazione dei diritti dei cittadini e quindi una differenziazione a seconda della ricchezza del territorio o delle condizioni aziendali dove si lavora. Sarà quindi ancora il mercato a decidere per il proletariato.
Chiediamo quindi a Ianeselli: come si può accettare la discriminazione territoriale o aziendale dei diritti dei cittadini? Come si può accettare l’idea che le rette per l’assistenza agli anziani nelle case di soggiorno debbano essere garantite da un fondo assicurativo privato? E non ci si racconti la favola che è solo una situazione temporanea, casuale, che non intaccherà altri diritti garantiti dal settore pubblico. Marchionne docet. Tantomeno non ci si racconti che ci sono patti di stabilità e vincoli contabili di bilancio che impediscono la garanzia pubblica dei diritti dei cittadini. I soldi stanziati per la Tav e per Metroland possono essere utilizzati per garantire la copertura degli oneri previdenziali e assistenziali. E’ una battaglia contro la compatibilità con il sistema capitalista e un sindacato come la Cgil ha il diritto-dovere di lottare per la socializzazione dei diritti della classe che rappresenta.
Ianeselli sbaglia nel pensare che i lavoratori e le organizzazioni sindacali partano già sconfitti e che si debbano adeguare alla meno peggio senza lottare: il sindacato deve impegnarsi in tutto e per tutto per la difesa del tessuto produttivo italiano, dell’art. 18 e per lo stato sociale pubblico. I proletari hanno già pagato ed è ora che si riprendano tutto quello che è stato loro sottratto dai potentati economici. Continuare ad affidarsi all’interessata “magnanimità” della P.A.T. e alla concertazione con essa e con il padronato non fa altro che eludere le cause della crisi e ad anestetizzare la forza che la classe organizzata, se ben diretta, può utilizzare contro chi ha causato la crisi, cioé il padronato sostenuto dalle istituzioni. Non possiamo dimenticare che la giunta provinciale, così come il governo nazionale, è espressione degli interessi economici del padronato e che quindi può scegliere discrezionalmente di concedere o di revocare gli aiuti al proletariato, rendendo così la forza lavoro completamente dipendente da chi ha l’interesse di far pagare ad altri il prezzo della crisi. Il sindacato deve organizzare i lavoratori per l’affermazione di un sindacato di classe che dia al proletariato la consapevolezza che deve contare solo su se stesso per conquistare terreno nella lotta contro il padronato e l’apparato istituzionale che lo difende.
Partito della Rifondazione comunista del Trentino
Certo che se il PRC pensa di dar lezione (di classe)ad uno come Ianeselli che incarna la moderazione della CGIL perde tempo…a meno che non abbia così tanti e fedelissimi lavoratori iscritti alla CGIL e allora questo “pistolone” potrebbe anche influenzare il dibattito e Ianeselli stesso. Ma, da quel che so la linea della CGIL Trentina(e nazionale)- con la variante FIOM e FILCAMS – non è ne più e ne meno che dentro la dittatura capitalistica dei mezzi di produzione.
Comunque anche vincendo sull’art.18 non si è fatta la rivoluzione…
Qualsiasi conquista dei lavoratori può essere assorbita nella riproduzione del sistema, o neutralizzata o deformata o, infine, rovesciata al momento opportuno. Qualsiasi conquista dei lavoratori diversa dal rovesciamento del potere statale e padronale costituisce una riforma del sistema. La nazionalizzazione, ad esempio delle banche (anche senza indennizzo), può danneggiare gravemente una frazione della classe dominante, ma non costituisce certamente l’abbattimento del potere di questa classe nel suo insieme. Ovviamente, noi dobbiamo batterci per conquiste parziali e settoriali, ma senza elevare alcun obiettivo a feticcio anticapitalistico.
Se ci si ferma alla difesa degli interessi immediati di classe avremo un onesto sindacalismo e un onesto riformismo politico, quest’ultimo pressoché inesistente nei sistemi politici dei paesi a capitalismo avanzato. Ma se si prescinde dagli interessi immediati di classe allora non si avrà null’altro che la velleitaria rivendicazione propagandistica della rivoluzione o, peggio, la rivendicazione di un governo di sinistra od operaio in un’epoca in cui i partiti operai sono estinti. A mio parere, nei paesi a capitalismo avanzato i partiti operai novecenteschi non possono più risorgere: l’avanguardia politica deve trovare strade diverse da quelle postulate dal leninismo, dal tardoleninismo, dal trotskismo, dalla varia gruppettistica gerarchizzata.
Antonio Marchi