Ora è ufficiale: i salari stanno calando.
Cremaschi: “La ripresa riguarda solo i guadagni dei padroni, se vogliamo che tocchi anche i salari il lavoro deve riappropriarsi della lotta di classe. Che da trent’anni è monopolio dei ricchi. Questa la verità da portare in sciopero il 10 e in manifestazione a Roma l’11 novembre.”
L’Osservatorio Jobpricing, un centro studi non certamente sovversivo che comunica i suoi dati attraverso L’Espresso, ci fa sapere che nel primo semestre del 2017 i salari sono calati. Non semplicemente hanno perso potere d’acquisto, ma sono proprio calati, dello 0,2%. Pochissime volte negli ultimi cento anni le retribuzioni dei lavoratori sono diminuite, la più nota è quella che si verificò durante il fascismo. Ecco siamo tornati lì.
Per attenuare la notizia il centro studi aggiunge poi che il calo delle retribuzioni riguarda solo quelle contrattuali fisse, mentre se ad esse si aggiungono le quote variabili, i salari complessivamente salgono dello 0,2. Con ciò però ci viene data un’altra notizia negativa.
Come si sa la parte variabile della retribuzione è legata ai risultati, cioè a quanto il lavoratore dia in più del dovuto all’impresa, è un premio allo sfruttamento. Tutti i liberisti, i padroni e la BCE, continuano a sostenere che bisogna far crescere la parte variabile del salario a danno di quella fissa. Ora scopriamo che anche con la parte variabile, che qualcuno prende e qualcuno no, le retribuzioni medie restano al di sotto dell’ inflazione, che è all’1,2%. Quindi anche con tutti i cottimi vecchi e nuovi i salari non reggono il pur bassissimo aumento dei prezzi.
Capito ora perché i consumi non aumentano e il risparmio cala? Non ci sono i soldi, come dicono i liberisti, nelle buste paga però.
Tutto questo è il risultato di una politica voluta. Il jobsact e tutta la legislazione distruttiva dei diritti del lavoro, accompagnati alla disoccupazione di massa prodotta dall’ austerità, hanno creato le condizioni per il crollo dei salari. Così anche se c’è la ripresina e più persone vengono assunte, la precarietà del lavoro ed il ricatto del licenziamento abbattono il potere contrattuale del lavoro rispetto all’impresa. Senza articolo 18 la paga cala, ma guarda un pò.
A questo risultato, lo ripetiamo voluto, si aggiunge anche quanto prodotto dalla complicità sindacale. L’ultimo contratto dei metalmeccanici, per citare il peggiore tra gli accordi siglati da CGILCISLUIL, praticamente non dà aumenti fissi, ma promette solo premi variabili. Ecco un contratto che programma la riduzione dei salari e che ha ricevuto calorosi applausi dagli industriali. A loro volta i lavoratori pubblici hanno perso 300 euro medi di retribuzione mensile, per il blocco decennale dei contratti. E ora confederali e governo concordano su una compensazione media, quindi non tutti, di 85.
Obiettivo raggiunto dunque: le leggi sul lavoro e le politiche contrattuali dei maggiori sindacati stanno abbattendo le retribuzioni, così la ripresa va tutta in profitti, come veniva richiesto da tutti i poteri economici e dalla UE.
Ora però c’e un problema. L’overdose di cure rischia di aggravare la malattia. La stessa BCE che chiede più salario variabile, lamenta poi la dinamica negativa delle retribuzioni, che non fa risalire l’inflazione a quel 2% che permetterebbe di far aumentare gli interessi sul danaro e quindi di far guadagnare di più le banche. Eh ma tutto non si può ottenere, non si può lavorare per decenni per distruggere il potere contrattuale del lavoro e poi scoprire che forse si é esagerato.
La ripresa riguarda solo i guadagni dei padroni, se vogliamo che tocchi anche i salari il lavoro deve riappropriarsi della lotta di classe. Che da trent’anni è monopolio dei ricchi. Questa la verità da portare in sciopero il 10 e in manifestazione a Roma l’11 novembre.
Di Giorgio Cremaschi
Fonte: L’antidiplomatico
I salari continueranno a calare sia in termine reali che nominali perché all’interno dell’infernale meccanismo della moneta unica sono l’unico strumento su cui agire per mantenere in vita le esportazioni. Si ritorna al solito punto se si vuole salvare occupazione e stato sociale è necessario uscire dall’Euro, dall’Europa e dalla NATO. Anche questa manovra finanziaria, come le precedenti, aumenta le spese militari e riduce la spesa per le pensioni portando l’età pensionabile a 67 anni.
I vecchi al lavoro ed i giovani disoccupati.
Questa Unione Europea fondata sull’economia e sulle Banche sta’ impoverendo la classe lavoratrice e togliendo impercettibilmente tutti i diritti conquistati in mezzo secolo di lotte.
Bisogna fare come la Gran Bretagna:
USCIRE DALL’ UNIONE EUROPEA.
Costi quel che costi.
Non bisogna pensare che fuori dall’Unione non ci siano prospettive.
Svizzera e Norvegia, che non ne fanno parte, se la cavano benissimo.
I Paesi dell’ Unione che sono fuori dall’euro sono quelli che vanno meglio.
Ad esempio la Polonia.
L’euro non è ne buono né cattivo.
Semplicemente non funziona!
O meglio funziona solo per la Germania, e parzialmente per la Francia; per Grecia, Italia e Spagna è una maledizione.
È meglio correre il rischio di un temporaneo impoverimento nella fase di passaggio, che sprofondare lentamente nella mefitica palude di questa Europa nata male e destinata necessariamente a finire peggio.
Non si costruisce una casa a partire dal tetto.