Sanita’ integrativa: un regalo alla finanza

Firmato senza Confindustria l’accordo per istituire in Trentino la sanità integrativa con piena soddisfazione dell’assessore Rossi e delle tre confederazioni sindacali Cgil Cisl e Uil.
Fermo restando che le ragioni dei vertici di via Degasperi le ritengo puramente di carattere politico (sfiducia alla gestione Pacher) colgo l’occasione per avanzare alcune riflessioni su sui fondi integrativi anche se il sindacato confederale è talmente entusiasta tanto da essere in prima fila nella critica a Confindustria per la mancata firma.
La sanità integrativa non è una novità, essa è stata introdotta in molto contratti nazionali, dai chimici al terziario e quindi l’unica novità è la costituzione di un fondo provinciale per la lor gestione.
Non mi interessa polemizzare sulle “risorse da investire il loco o sui costi a carico dell’impresa” già usate al momento della sottoscrizione del Laborfonds per poi scoprire che obiettivo dei gestori del fondo non è il territorio ma quello di avere il massimo profitto dal capitale investito.
La scelta di istituire dei fondi integrativi la ritengo la risposta sbagliata del sindacato davanti alla continua riduzione dei diritti che derivano dalla progressiva cancellazione del welfare imposte dalle politiche neoliberiste e di austerità che provengono dalla Troika ma anche da una politica economica nazionale da sempre improntata al contenimento dei costi anziché allo sviluppo degli investimenti e dell’innovazione tecnologica.
Infatti, la filosofia che sta alla base dei fondi integrativi è una filosofia individualista ed escludente (riguarda sostanzialmente i soli occupati) dal punto di vista dell’accesso alle prestazioni mentre sul versante più generale contribuiscono ad affossare l’attuale stato sociale che, nonostante grosse deficienze, è comunque un sistema universalistico rispetto ad un sistema di welfare privato, costoso e potenzialmente accessibile ai soli occupati.
Purtroppo, anche con questo accordo, Cgil Cisl e Uil contribuiscono alla privatizzazione dello stato sociale determinando una frattura preoccupante fra inclusi (chi lavora) e gli esclusi i disoccupati, i precari, casalinghe e pensionati.
Altro che unificazione del mondo del lavoro, queste fondi tendono non solo a drenare risorse dai salari alla finanza ma anche a legare il lavoratore, mani e piedi, all’interesse dell’azienda facendo dell’individualismo il nuovo orizzonte culturale.
Il tutto alla faccia della necessità di dare maggiori tutela dei giovani, dei precari, delle partite iva, ecc. che con queste scelte si troveranno ulteriormente penalizzati.
Ma l’universalità dei diritti, a partire da quello della salute, non era per la Cgil un valore non negoziabile? E come si spiega che la Fiom Trentina sottoscrive una cosa che la Fiom Nazionale non ha firmato? Con la scusa dell’autonomia provinciale?
No, purtroppo ritengo che questa scelta sia figlia dei tempi che vede la CGIL sempre più a traino delle politiche della giunta provinciale sacrificando principi e valori che da sempre sono stati patrimonio della storia e delle lotte della Cgil.
Questa intesa che copia gli aspetti più negativi del sistema USA determina una situazione nella quale, quanto il lavoratore perde il lavoro, non perde solo il reddito ma anche tutto il sistema di tutele sociali in quanto non più universali, ma esclusivamente legate alla condizione di occupato.
Infatti questo fondo interviene a coprire le spese sanitarie dovute ai ticket, alle visite private, operazioni ed altri costi che la sanità ha messo in carico agli utenti. Se però uno è disoccupato o perde il lavoro questi costi li dovrà pagarseli in barba al diritto alla salute che dovrebbe essere gratuito ed universale.
La logica dei fondi integrativi assistenziali è in perfetta sintonia con la silenziosa metamorfosi del sindacato che passa da soggetto contrattuale autonomo a mero erogatore/gestore di quote economiche che servono per pagare uno stato sociale sempre più costoso e privatizzato.
Oggi un nuovo assunto versa ai fondi pensioni tutto il TFR e il 3% del suo salario (fra lui e l’impresa) per una quota pari al 10% del suo monte salari senza che questi fondi garantiscono al lavoratore una pensione dignitosa dopo 40 anni di lavoro.
Infine qualche domanda su costi e benefici. Da semplice cittadino mi domando ma se queste risorse fossero versate non ai fondi privati ma all’Inps ed al sistema sanitario ci sarebbero risorse sufficienti per garantire pensioni dignitose e un sistema di welfare pubblico efficiente e all’avanguardia.
Non c’e dubbio, con l’accordo sui fondi sanitari un’altra quota di salario viene data in gestione al mondo della finanza che, anche se tradotto in salsa trentina, non evita un ulteriore e pesante trasferimento di risorse dai salari al sistema finanziario.

Ezio Casagranda

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