Referendum: ha vinto l’antipolitica

Ieri, Dellai a commento del mancato quorum al referendum ha sostenuto la tesi che il voto ha sconfitto l’antipolitica. Niente di più sbagliato.
La politica, nella sua piena accezione (Polis) richiede l’attiva partecipazione degli abitanti liberi alla vita politica. L’esatto contrario dell’astensionismo. Cantare vittoria per il solo fatto che il 70% dei cittadini non ha partecipato al voto significa festeggiare la negazione della politica, quella con la “P” maiuscola che è prima di tutto conflitto, passione, impegno civile, dialettica sociale e strumento per favorire la partecipazione dei cittadini alla gestione della propria comunità.
Ieri, purtroppo, in Trentino ha vinto la politica dell’affarismo, dell’interesse personale, delle clientele e del potere costituito che oggi, a mio avviso, è il vero vulnus dell’antipolitica intesa come negazione della fattiva partecipazione dei cittadini al governo della cosa pubblica.
Certo, i risultati di questa consultazione ci impongono di analizzare attentamente i motivi che hanno determinato questo risultato ma nello stesso tempo non possiamo dimenticare il peso che ha giocato l’indifferenza e la rassegnazione.
Tanto non cambia niente” era la risposta che molti davano all’invito ad andare a votare chiamando in causa i precedenti referendum: da quello sul finanziamento dei partiti a quello sull’acqua i cui risultati sono stati stravolti dai giochi interessati dei vari partiti di governo ed opposizione uniti nell’unico obiettivo che gli unisce: mantenere i privilegi delle caste ad ogni livello.
La rassegnazione è la faccia più pericolosa della cosiddetta “antipolitica” perché lascia aperta la strada a pericolose derive autoritarie e alla propaganda di quanti, davanti alla sordità dei partiti, predicano l’avvento dei “tecnici” o, ancora peggio “di un salvatore della patria”.
Rilanciare l’iniziativa, il conflitto democratico e le forme di partecipazione diventa quindi la strada che dobbiamo intraprendere senza dimenticare che su questo voto ha pesato una cappa di silenzio che, complici i mass media, ha reso sterile la campagna elettorale bloccando il dibattito di merito sulle comunità di valle. Questa cappa e gli interessi delle comunità di valle peseranno anche nel processo indispensabile di unione da basso dei comuni per la gestione pubblica dei servizi e dei beni comuni.
Per questo concordo con quanti sostengono che qualsiasi ipotesi di aggregazione per i prossimi appuntamenti elettorali deve poggiare su tre pilastri: la centralità del lavoro e del reddito, l’opposizione a questo sistema neoliberista – anche in versione Dellaiana – e la cancellazione delle comunità di valle.
In ultima a quanti si lamentano per i costi del referendum va ricordato che la democrazia ha i suoi costi e che questo referendum è costato un quinto di quanto costano le inutili comunità di valle. 

Ezio Casagranda

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Un commento

  • lorenza erlicher

    E’la cosa più fastidiosa del dopo referendum. io sono andata a votare si proprio per conmvinzione politica, dopo essermi informata, dopo aver riflettuto e essermi confrontata con altri.
    Non riesco ad accettare che dei leader politici che hanno cercato solo di far passare inosservato il referendum, che hanno invitato i cittadini a pensare ad altro,a non informarsi e non riflettere ora dicano che il mio voto è antipolitica e il loro comportamento no.

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